sabato 24 dicembre 2022

Anno Vecchio- Anno Nuovo di A. S. Novaro


Anno vecchio – Anno nuovo

L’anno vecchio se ne va, e mai più ritornerà,
io gli ho dato una valigia di capricci e impertinenze,
di lezioni fatte male, di bugie e disubbidienze,
e gli ho detto: “Porta via! questa è tutta roba mia”.

Anno nuovo, avanti avanti,
ti fan festa tutti quanti,
tu la gioia e la salute porta ai cari genitori,
ai parenti ed agli amici rendi lieti tutti i cuori,
d’esser buono ti prometto, anno nuovo benedetto.

*** 

Illustrazione tratta da: “Il mondo è la mia patria: letture per la prima classe elementare” di Alberto Manzi (AVE, 1966). Illustrazioni di Alfredo Brasioli

Filastrocche

A S Novaro


giovedì 3 novembre 2022

Una lettera del 1982 riletta nel 2022


    Dario De Bastiani


Leggo sul web che ricorre quest'anno il 40° della pubblicazione del "il Quindicinale". Un periodico fondato e poi diretto per molti anni da Dario De Bastiani. Uomo di punta della Democrazia Cristiana e quindi della classe dirigente, culturale e politica, della città di Vittorio Veneto; .

Casualmente, in questi giorni, nel rovistare tra vecchie carte, mi è capitata fra le mani la lettera che Dario De Bastiani mi inviò dopo la caduta della Giunta nel giugno del 1982, appunto 40anni fa.

Sia la fondazione del Quindicinale che questa lettera del suo Direttore appartengono a una storia ormai lontana, una storia che tuttavia, a sommesso parere di chi scrive, meriterebbe di non essere del tutto dimenticata.

Eccone il testo seguito da una breve riflessione.

Lettera di Dario De Bastiani a Giorgio Pizzol il 18 giugno 1982

 Carissimo Pizzol,

Anche se sono stato

sempre critico nei tuoi riguardi e verso la

tua Amministrazione, e come ti ho detto nella

lettera che accompagnava l’ultima mia pubblicazione,

non posso dire di essere stato favorito dalla

azione culturale del Comune, ti esprimo

la mia solidarietà nel momento più amaro

della tua militanza politica. Ciò è dettato anche

dalla constatazione che è la prima volta, almeno

a Vittorio Veneto, che una coalizione si sfascia così

malamente e travolge il Capo dell’Amministrazione.

Con la solidarietà anche il ringraziamento per

i tuoi 7 anni di personale impegno per la Città,

Tutti coloro che si impegnano per la Comunità,

a prescindere a dalla tessera che hanno in tasca e

dagli obiettivi politici che si propongono meritano

la riconoscenza della Cittadinanza.

Anche se ciò che è avvenuto può forse premiare

tanti anni di opposizione della mia parte politica,

e, come è nelle cose, continueranno le divergenze

di opinione tra noi, ti saluto cordialmente

e con tanta stima

Dario De Bastiani

 

Nel rileggere questa lettera chi scrive non può non rievocare vicende che gli procurano ancor oggi un forte senso di amarezza. Nello stesso tempo le parole di De Bastiani procurano al destinatario, oggi come allora , un sia pur lieve senso di consolazione: rendono, "l'onore delle armi" ed esprimono sinceramente stima per la persona dell’avversario sconfitto.

La lontananza dei fatti nel tempo stempera le passioni che alimentarono tante dispute infuocate e tante pungenti critiche del Quindicinale alle iniziative politiche del sottoscritto nei successivi dieci anni.

Oggi Dario De Bastiani non è più tra noi, ed è un peccato, perché sarebbe senz’altro più facile, vista l'acqua che è passata sotto i ponti, riprendere il discorso in merito alla necessità di distinguere i giudizi sulle persone da quelli sulle loro appartenenze politiche.

Con l’occasione si potrebbe cominciare un discorso che all’epoca non è mai cominciato. E che oggi potremmo cominciare facendo tesoro del senno di poi.

Questo. Il mittente e il destinatario della lettera se avessero ragionato pacatamente e obiettivamente, spogliandosi delle relative passioni politico-ideologiche, avrebbero capito che la gran parte delle polemiche erano davvero inutili e prive di senso. Per un motivo molto semplice: entrambi avevano in testa un solo scopo o illusione: fare di Vittorio Veneto la Città più bella del mondo.

 



domenica 4 settembre 2022

Un ricordo di Papa Giovanni Paolo I nel giorno della sua beatificazione

















Stralcio del discorso pronunciato dal sottoscritto all’epoca sindaco di Vittorio Veneto in occasione dell’inaugurazione del memoriale dedicato a Giovanni Paolo I  il 21 settembre 1980

 



Ricordo di Giovanni Paolo I


* Immagine di copertina. Foto scattata in occasione dell’udienza concessa da Giovanni Paolo I alla Diocesi e alla Città di Vittorio Veneto

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mercoledì 10 agosto 2022

Se è giusto




Se è giusto
saranno soltanto canzoni
                              liete e tristi
come porta la vita gioia e dolore
 
solo parole e musica
 
e luce
             grigia e verde
di un sorriso
            verde e grigio
introvabile nel mese di agosto
mese felice
canto triste

 
* (Giorgio Pizzol Le stagioni del presente 1991 Premio letterario de Il Gazzettino 30.5.’93 Concorso Internazionale di Poesia “Città di Venezia” 17° Edizione)


martedì 21 giugno 2022

Tra menzogna e ironia di Umberto Eco

Recensione

Umberto Eco nella prefazione dice di aver unito in questo libro quattro saggi (pubblicati in epoche e in sedi diverse -.tra il 1986 e il 1991-) perché hanno in comune l’analisi di fatti e discorsi che riguardano: “strategie di menzogna, travestimento, abusi del linguaggio, capovolgimento ironico di questi abusi”.

Recensire un’opera – sia pure tra le minori – di uno scrittore come Umberto Eco, uomo dall’erudizione sterminata, principe dei critici letterari, autore di romanzi tradotti in tutto il pianeta, membro delle più prestigiose istituzioni accademiche internazionali è un’impresa da far “tremare le vene e i polsi” anche a ad un critico professionista di lungo corso.

Tuttavia, tenteremo di superare il nostro timore reverenziale nei confronti di tanto maestro, sorretti dal pensiero che sia possibile trovare il filo conduttore che ci permetta di attraversare il labirinto in cui Eco ci conduce con i suoi artifici “semiosici” e “semiotici”. Ciò al fine di portare, nel nostro piccolo, un contributo ai alla comprensione di questo libro e dei validi messaggi che esso ci trasmette.

Come dicevamo, si tratta di quattro saggi scritti in tempi diversi e riferiti a quattro personaggi diversi: Cagliostro, Alessandro Manzoni, Achille Campanile, Ugo Pratt.
Il tema, in estrema sintesi, è quello della menzogna osservata nella vita e nelle opere dei quattro personaggi.
Esamineremo ora il discorso di Eco, seguendo un ordine diverso partendo dal “grado di menzogna” riscontrabile in riferimento a ciascuno dei personaggi in parola.

Cagliostro. Va collocato al primo posto perché “mente con la parola, con gli abiti, col comportamento, e mentono su Cagliostro le leggende che lo hanno trasformato da piccolo avventuriero… in mito, simbolo del libero pensiero, vittima dell’oscurantismo clericale”. Umberto Eco ci porta a riflettere su un paradosso creato dalla letteratura. Un uomo, vissuto per tutta la vita come un volgare truffatore, che ha mentito sempre per motivi abbietti, diventa, a seguito di biografie “menzognere”, diffuse da decine di scrittori (tra i quali spicca Dumas), un mito positivo. Ironia di Eco e della storia.

Ugo Pratt. È un “mentitore buono” nel senso che tutti coloro che leggono le storie dei suoi fumetti sanno perfettamente che le sue menzogne non sono inganni che possano recare danno a qualcuno, ma sono finzioni di fantasia prodotte per “divertire”. Eco sembra tuttavia rimproverare a Pratt di mentire senza validi motivi sulla collocazione geografica dei luoghi delle storie raccontate. Ma si tratta di un peccato veniale.

Campanile. Anche in questo caso siamo di fronte a un “mentitore buono”. Un umorista che inventa situazioni comiche con lo scopo di divertire ma anche – e qui sta il suo merito particolare – per richiamare ironicamente la nostra attenzione su aspetti del vivere umano che in sé, purtroppo, non hanno nulla di divertente e sono per tutti – in tutti i tempi e luoghi – terribilmente seri, e fonte di sofferenza. Per fare un solo esempio la paura della morte. Campanile con le sue invenzioni umoristiche e ironiche ci reca un po’ di sollievo da queste sofferenze.

Manzoni. Il grande Manzoni non mente mai. Mente solo “apparentemente” perché ricorre appunto all’ironia. E a questo proposito ci permettiamo di esporre l’opinione che l’ironia possa essere utilizzata come strumento prezioso per combattere la menzogna e i danni che essa produce all’umana convivenza. L’ironia, come è noto, è una figura retorica, mediante la quale diciamo il contrario ci ciò che pensiamo, ma lo facciamo per esprimere con più efficacia ciò che “veramente” pensiamo. Stiamo parlando ovviamente dell’ironia benevola, quella usata da per evitare i danni prodotti dal mentire. (Non parleremo qui, per brevità, dell’ironia malevola usata per offendere l’interlocutore che sicuramente non troviamo in questo scrittore). In ogni caso il discorso ironico è sempre un discorso “sincero”. Umberto Eco ci fa notare che Manzoni ha fatto della sincerità un principio morale supremo e che merita di essere considerato “un grande” proprio per la sua capacità di smascherare il “linguaggi menzogneri; soprattutto quelli usati dai potenti per opprimere gli umili.

Umberto Eco è un autore che non ha paura di far soffrire i suoi lettori nel farli sentire “ignoranti”, o per meglio dire, “incolti”. Chi vuol leggere Eco deve armarsi di fonti enciclopediche e di grande pazienza. Non sta a chi scrive esprimere giudizi su questo modo di porgersi di un autore che è arrivato ai vertici dell’autorità culturale ufficiale.
Chi scrive si limiterà sommessamente a osservare che Eco non usa nel suo lavoro il “Rasoio di Occam”. Non rispetta il principio «Non moltiplicare gli elementi più del necessario.» Eppure Guglielmo di Occam è il filosofo che ha ispirato a Eco il romanzo che lo ha reso famoso in tutto il mondo, Il nome della rosa. È il caso di dire ironia della storia?

Giorgio Pizzol

 


sabato 11 giugno 2022

Amate i vostri nemici



Pensieri di un catecumeno del XXI secolo

Nel Vangelo secondo Matteo leggiamo : “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico…”  Gesù dichiara dunque di voler correggere la “Legge antica” data dall’Onnipotente al popolo ebraico mediante l’introduzione di un “comandamento” nuovo e diverso. Un comandamento che di per se stesso trasforma radicalmente la legge vigente.

Osserviamo attentamente: la legge antica ordinava di amare il prossimo ossia le persone che ci vivono accanto, i connazionali e correligionari mentre ordinava di odiare “i nemici”. Gesù invece col nuovo comandamento ci ordina di amare nemici e perfino di pregare per coloro che ci perseguitano. Il Maestro fornisce anche le motivazioni in base alle quali si deve ottemperare al nuovo comandamento dicendo: “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?” E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?

I pubblicani, come sappiamo erano gli esattori delle tasse per conto di Roma ed erano odiati e disprezzati dagli ebrei dell’epoca in quanto servitori di una potenza straniera oppressiva e perché spesso abusavano del loro potere per estorcere denaro ai contribuenti. Erano considerati un esempio tipico di “peccatori”.

In sintesi Gesù ci spiega. Perfino i peccatori abituali come i pubblicani e anche coloro che non appartengono al popolo ebraico, i pagani, sono capaci di amare “il prossimo”. Io vi ordino invece di amare coloro che non sono il vostro prossimo, che non appartengono al nostro popolo, e anzi vi ordino di amare i nemici e coloro che vi hanno fatto e vi stanno facendo del male.

Nel Vangelo secondo Luca leggiamo poi: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano”.

Il comandamento dunque è chiaro e implica che nessuna guerra è lecita perché non esiste nemico e se esiste deve essere amato come il prossimo.

Daremo ora uno sguardo rapidissimo al modo in cui i “cristiani”, ossia coloro che sono stati educati secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo, lo hanno osservato concretamente nei 2000 anni e oltre che ci separano dall’epoca in cui è stato predicato.

È noto che i primi cristiani per obbedire al comandamento di cui si parla si rifiutavano di prestare servizio militare a costo di subire il martirio. L’attività di militare era giudicata dalle autorità religiose cristiane dell’epoca incompatibile con l’ammissione alla comunità dei cristiani.

La tradizione narra dei Diecimila martiri. Diecimila soldati convertiti al cristianesimo da S. Acacio o Agazio (m. 303) che abbandonarono il servizio militare e per questo vennero crocifissi sul Monte Ararat in Armenia per ordine dell'imperatore. Forse si tratta, in parte, di leggenda. Tuttavia moltissimi sono i casi, storicamente accertati, di cittadini romani che per aver rifiutato di impugnare le armi dopo la conversione al cristianesimo furono condannati a morte.

Nell’anno 313, in forza dell’Editto di Milano degli imperatori Costantino e Licinio, il Cristianesimo divenne religione ammessa dallo stato. Successivamente nell’anno 380, gli imperatori Teodosio, Graziano e Valentiniano, con l’editto di Tessalonica, proclamarono il Cristianesimo religione ufficiale dell’Impero.

Da questa data, a rigore di logica, il comandamento “amate i vostri nemici.” avrebbe dovuto essere prescritto dalla legge dallo stato all’epoca più potente ed esteso del mondo antico. Uno stato che abbracciava, attorno al Mare Mediterraneo, i continenti di Europa Asia e Africa.

Credo sia doveroso constatare che in realtà il comandamento è stato non solo ignorato ma clamorosamente trasgredito dai cristiani. La storia dell’Europa è storia di guerre tra i cristiani. Il secolo scorso ha visto le due guerre mondiali fra stati cristiani nel corso delle quali sono state usate le più alte conquiste della scienza e della tecnica, tra cui l’energia atomica, per compiere immani e orribili stragi di vite umane.

Oggi, nell’anno di grazia 2022, vari stati cristiani in Europa si stanno un’altra volta dilaniando vicendevolmente in una guerra assurda.

E il comandamento? Fino ad una sessantina d’anni or sono erano molti - cristiani e non cristiani - a pensare e a dichiarare con convinzione: “Il fatto che il comandamento sia stato ripetutamente trasgredito non significa che sia stato abrogato; esso è ancora vigente e d’ora in avanti, visti gli errori del passato, noi ci impegneremo con tutte le nostre forze a rispettarlo.”

Secondo quanto risulta a chi scrive, oggi le persone che si dichiarino d’accordo con l’opinione su esposta sembrano ridotte ad un numero paurosamente esiguo. Resta comunque assodato che il comandamento è vigente e giustifica un sia pur lievissimo filo di speranza.

Giorgio Pizzol

* In copertina:  Diecimila crocifissi del monte Ararat, dipinto di Vittore Carpaccio, 1515, VeneziaGallerie dell'Accademia.



venerdì 3 giugno 2022

Il concetto di diritto e di stato di diritto








(Appunti per un ciclo di lezioni sull’ordinamento giuridico italiano dedicato agli alunni della scuola media inferiore)

Il concetto, la nozione, di che cosa intendiamo con la parola diritto, appare già presente nella mente di ogni essere umano.

Osserviamo. Possiamo riscontrare nella comune esperienza che chiunque possiede le seguenti nozioni.

  1. La vita di ogni persona si svolge in un continuo rapporto con la vita di molte altre; all’interno di un gruppo (di un insieme di gruppi) di persone che chiamiamo SOCIETÀ;
  2. È bene (è utile, è conveniente per ciascuno e per tutti insieme) trovare “forme” (modi) di comportamento, ossia REGOLE, seguendo le quali ad ogni membro sia garantita l’osservanza del principio enunciabile con le parole “uguale libertà e uguale responsabilità”: ogni persona deve essere rispettata nella sua libertà di scegliere come vivere e nello stesso tempo deve rispettare la libertà di ogni altra di scegliere come vivere.
  3. che è bene (è utile è conveniente per tutti) che si costituisca un’organizzazione sociale stabile per mezzo della quale sia possibile porre in essere, “dettare” LEGGI (testi scritti) che contengono le regole di comportamento o norme, necessarie a garantire l’attuazione del principio “uguale libertà, uguale responsabilità”.

Possiamo dire ora che i concetti sopra esposti costituiscono “i fondamenti” del diritto e su di essi il diritto può essere posto, “dettato”, (come si è detto sopra al punto n. 3) da un’Organizzazione stabile della società che, da circa due secoli, è stata denominata col termine STATO.

La parola stato trova la sua origine nella stessa radice delle parole “stabile e “stare”, che esprimono il concetto di “essere fermo”.

Le prime forme di quel tipo di organizzazione sociale a cui diamo oggi il nome di “stato” si riferiscono appunto al realizzarsi di forme organizzative stabili nel tempo.

Storicamente si sono realizzati vari tipi di organizzazioni stabili (Es. la polis, città stato, in Grecia, la Res Publica a Roma, il sistema feudale) nelle quali però il principio "uguale libertà, uguale responsabilità" non era né espressamente riconosciuto né effettivamente praticato e rispettato. L’affermazione di questo principio nella storia umana è avvenuta gradualmente e secondo un andamento non uniforme (anzi secondo un andamento ora progressivo ora regressivo) nelle varie regioni della terra e nelle varie epoche.

Possiamo rilevare che per molti secoli nelle diverse forme organizzative spontanee (che comunemente chiamiamo “popoli”) si otteneva un’organizzazione stabile soprattutto mediante il dominio di uno o più gruppi sociali (caste o classi nobiliari) sul resto della popolazione. Dominio esercitato in parte con l'uso della "forza" (delle armi) in parte attraverso un "consenso" ottenuto con diversi strumenti (soprattutto a seguito dell’adesione della popolazione a tradizioni consolidate fondate in prevalenza su concezioni religiose).

Soltanto con l'inizio dell'epoca contemporanea (1789) assistiamo all’instaurarsi di organizzazioni sociali stabili alle quali possiamo dare il nome di “stato”, nel significato di struttura organizzativa stabile che riconosce come proprio fondamento il principio di "uguale libertà, uguale responsabilità".

Tali Stati infatti si sono “auto-fondati” approvando un Atto costitutivo (o costituzione) nel quale si dichiara espressamente di riconoscere e garantire detto principio.

Nasce così quella forma organizzativa stabile, attualmente diffusa oggi in moltissimi paesi, che chiamiamo STATO DI DIRITTO: in essa il concetto di diritto e il concetto di stato sono complementari: ognuno dei due è fondamento dell’altro.

Questi concetti su cui si fonda lo stato di diritto.

  1. Lo Stato si proclama come “autorità originaria” (non derivata da nessun’altra autorità) e come la “fonte unica” del Diritto, della Legge, ossia delle norme di comportamento che debbono essere osservate dalle persone che vivono nel territorio sul quale esso esercita la sovranità.
  2. Stabilisce che gli Organi rappresentativi dello Stato mediante i quali esso esercita la sua attività rimangono assoggettate alle norme del Diritto dettato dallo Stato.
  3. Detta apposite norme mediante le quali vengono predisposti appositi organi cui è affidato il compito di garantire l’osservanza della Legge (a partire dalla Legge che sta a fondamento di tutte le leggi, la Costituzione)

 

Il concetto espresso punto B sopra riportato merita una particolare attenzione. Osserviamo infatti che in esso si riscontra il principio fondamentale, dello “stato di diritto”. Principio che è stato denominato Principio di legalità.

In base a detto principio tutte quelle persone che hanno titolo, cioè il potere in base alla Legge, di agire in rappresentanza dello Stato sono comunque obbligate ad osservare le norme di legge che hanno loro conferito il potere stesso. Va precisato che dette persone sono comunque tenute a rispettare le leggi che lo stato ha approvato in qualsiasi materia come qualsiasi altra persona.

Nello stato di diritto quindi tutti sono soggetti alla legge, nessuno è al di sopra la legge.

Facile osservare come il principio di legalità sia già contenuto nel principio “uguale libertà, uguale responsabilità”. Notiamo infatti che i rappresentanti dello stato, ossia coloro che esercitano una quota del “potere statale” (come vedremo più avanti), dispongono di un grado maggiore libertà di prendere decisioni rispetto agli altri. A questo maggior grado di libertà deve corrispondere un uguale aumento del grado di responsabilità (del dovere di rispondere delle proprie azioni). Resta così assodato che nello stato di diritto nessuna persona esercita un potere, una libertà di decidere, che non sia regolato dalla Legge.

In ogni caso, (in base al concetto esposto sopra alla lettera C) lo stato di diritto detta norme per mezzo delle quali coloro che trasgrediscono le leggi vengono chiamati a rispondere e a riparare gli effetti dannosi della loro trasgressione. In particolare la Costituzione detta norme per mezzo delle quali siano cancellate dall’ordinamento (annullate) le norme dettate dallo Stato che, eventualmente (e per errore dell’organo statale che le ha emanate), siano in contrasto col principio "uguale libertà, uguale responsabilità".

Come si è detto sopra, lo Stato di diritto si auto-fonda, (e si auto-definisce) in riferimento alla propria COSTITUZIONE.

Il minimo comune etico


(Continua)




sabato 28 maggio 2022

Il minimo comune etico











Circa sessant’anni fa un gruppo di ragazzi miei coetanei, dopo lunghe e accalorate discussioni sul problema del fondamento della morale, mi affidarono il compito esporre le conclusioni che erano risultate più convincenti per “quasi” tutti.

Il Minimo comune etico

TESI

“Esiste un concetto mediante il quale si possono rappresentare i rapporti umani (di qualunque specie e in qualsiasi tempo e luogo) come “buoni e giusti”. Tale concetto può essere descritto con le seguenti parole:

Pari libertà e pari responsabilità per ogni essere umano

Più precisamente “Pari libertà (pari diritto) di ogni essere umano di vivere e di sviluppare le proprie capacità vitali e pari responsabilità (pari dovere) di ogni essere umano nel riconoscere ad ogni altro la libertà di cui egli stesso è titolare”.

Tale concetto può essere pensato come necessario e sufficiente per “costituire” (fondare) di per se stesso la regola, (la legge, la norma) minima comune ossia uguale per tutti gli esseri umani in qualunque tempo e luogo in qualsiasi condizione personale o sociale.

In riferimento a questa regola tutti i comportamenti umani possono essere giudicati come “moralmente validi” (buoni, giusti) o meno in quanto conformi o non conformi (o più o meno conformi) alla regola stessa.”A questo concetto viene dato il nome di Minimo comune etico o Etica minima comune (o più brevemente Minimo etico).

DIMOSTRAZIONE

Un qualsiasi soggetto pensante, mentre pensa intorno a una qualsiasi cosa, pensa, nello stesso tempo, più o meno consapevolmente, sempre e inevitabilmente a quella “cosa che pensa” ossia alla “cosa” che è costituita da se medesimo, il proprio “io”. E ciò pensando si ritrova a pensare come segue.

Io penso che sono, che esisto, che sono vivo qui e ora.

Io so che la mia vita (questa vita visibile qui e ora), come la vita di tutti gli esseri umani e quella di tutti gli esseri viventi, è (o comunque appare essere alla mia “naturale” esperienza) una soltanto, ha un solo inizio, una sola durata e una sola fine.

Io so dunque che questa mia vita, trascorso un periodo determinato, finirà, so (so di sapere, sono cosciente del fatto) che morirò; ho paura di morire; desidero vivere; desidero vivere realizzando tutte le mie capacità  vitali.

Per quanto mi è dato di vedere, io devo pensare che questi miei pensieri sono comuni, al pensare di tutti gli esseri umani in qualsiasi tempo e luogo. Per questo io so che in riferimento a questo pensiero esiste una comune condizione umana (una condizione uguale del vivere per qualsiasi essere umano). In riferimento a questo pensiero (e alla “realtà” che questo pensiero rappresenta) tutti gli uomini sono uguali.

Io so dunque con certezza indubitabile che tutti gli esseri umani in qualsiasi tempo e luogo (per quanto diverse possano essere le loro caratteristiche individuali, sociali e culturali) pensano necessariamente i miei stessi pensieri sopra descritti (e so che loro sanno che io li penso).

Nei pensieri in questione è contenuto ed è evidente (appare) il concetto di bene: penso infatti che il bene è la vita in se stessa (questa vita limitata nel tempo e nello spazio). Più precisamente “il bene è”:

il conservare, il mantenere in efficienza la vita sviluppandola nelle proprie potenzialità.

Con ciò osservo che qualsiasi essere umano in quanto pensante al vivere qui e ora deve “naturalmente” essere d’accordo con me e con qualsiasi altro su una Regola minima che venga posta a fondamento di tutte le azioni di qualsiasi uomo la cui vita abbia un qualsiasi rapporto con la vita di qualsiasi altro. Tale Regola può essere precisamente enunciata in questi termini:

“Ogni uomo (senza eccezione alcuna): è titolare della libertà o diritto di vivere in modo da poter conservare e sviluppare al massimo le sue capacità vitali e conseguentemente ha la medesima responsabilità o dovere di agire in modo tale che ogni altro possa disporre della medesima libertà di cui egli stesso è titolare”. Quindi sinteticamente:

pari libertà e pari responsabilità per qualsiasi essere umano.

COME DOVEVASI DIMOSTRARE

COROLLARI

Osserveremo ora che, sulla base delle stesse argomentazioni, la teoria appare come:

  1. “intuitiva” ossia “leggibile” nella “natura” stessa di quel fenomeno che è costituito dal “vivere in società” degli esseri umani;
  2. “evidentemente” buona e giusta in quanto assicura a tutti gli esseri umani senza distinzione pari libertà e pari responsabilità;
  3. “universalmente” e “incontestabilmente” valida proprio per la sua “universale conoscibilità”;
  4. “razionale”, ossia “comprensibile”, da qualsiasi soggetto umano e conseguentemente “comunicabile” da parte di qualsiasi soggetto a qualsiasi altro.

Facile notare poi che il principio “pari libertà e pari responsabilità” è tale da garantire nello stesso tempo libertà e uguaglianza per tutti i componenti la società. Esso comporta infatti che le particolari differenze di ogni soggetto trovino la possibilità di esprimersi e di svilupparsi senza entrare in conflitto con le differenze di ogni altro in quanto: al crescere della libertà di ogni soggetto cresce, nella stessa misura, la sua responsabilità nei confronti degli altri. Il rapporto fra libertà e responsabilità di ciascuno persona è sempre “matematicamente” uguale a uno.

L’applicazione della norma in questione comporta una condizione sociale nella quale: nessuno domina, nessuno è dominato; nessuno opprime, nessuno è oppresso.

Il libero sviluppo delle capacità vitali di ciascuno

diventa un aiuto al libero sviluppo delle capacità vitali di tutti.

Nota a margine

Come si diceva la tesi su esposta, in quanto fondata sulla logica matematica, è apparsa certa e indubitabile a “quasi” tutti i ragazzi di cui sopra. Ma il fatto che non tutti ne fossero convinti impone che la tesi stessa rimanga aperta alla più ampia discussione.



domenica 15 maggio 2022

In questo maggio vincono le rose bianche


 







In questo maggio vincono le rose bianche

sorriso sorpreso
spiraglio faticosamente aperto
sull'orizzonte

dovrai pensare

chiarore di luna
profumo sottile
di gelsomini
dentro la notte inoltrata
singulto di uccelli notturni
appassionatamente
domani
oggi è domani
dirà l'incontro

pensiero pensato e da pensare
matura
sii sincero fino in fondo

la verità soltanto la verità
per questa notte d' attesa




* (Giorgio Pizzol Le stagioni del presente, 1991 Premio letterario de Il Gazzettino 30.5.’93 - Concorso Internazionale di Poesia “Città di Venezia” 17° Edizione)

lunedì 9 maggio 2022

44° Anniversario dell'assassinio di Aldo Moro

L’assassinio di Aldo Moro è l’evento più tragico e il mistero più inquietante della storia della Repubblica italiana. Con questo assassinio ha avuto inizio il declino inesorabile della democrazia italiana.

Moro era probabilmente l’uomo politico italiano più intelligente e più saggio e soprattutto più capace di tradurre in atto i valori della Costituzione. Io mi domando chi abbia voluto e a chi abbia giovato la sua morte. Finché non faremo piena luce su questa tragedia non ci sarà vera democrazia in Italia e forse neppure in Europa e nel mondo. Di fronte all'enormità di questo problema personalmente non riesco a trovare un pensiero che possa condurre verso una risposta razionale.











Oggi, dopo 44 anni e dopo innumerevoli processi e commissioni parlamentari di indagine, ci resta solo debolissimo filo di speranza che questo tragico mistero possa essere risolto.

Tuttavia, anche se non saranno trovate risposte alle cause della tragedia, tutti i democratici sinceri (cristiani e non) hanno l'obbligo di impegnarsi con tutte le loro energie intellettuali e morali perché il messaggio di Aldo Moro non vada perduto. Messaggio che sintetizzeremo in queste parole: difesa coerente e costante dei principi e dei valori della Costituzione Italiana. Messaggio che purtroppo dopo l'assassinio è stato oscurato dai grandi mezzi di informazione di massa e dalle istituzioni della scuola e della cultura italiana pubblica e privata. Ciò che ha prodotto lo stato di coma della politica italiana, interna ed estera.

 

***

"Lo Stato democratico, lo Stato del valore umano, lo Stato fondato sul prestigio di ogni uomo e che garantisce il prestigio di ogni uomo, è uno Stato nel quale ogni azione è sottratta all'arbitrio ed alla prepotenza, in cui ogni sfera di interesse e di potere obbedisce ad una rigida delimitazione di giustizia, ad un criterio obiettivo e per sua natura liberatore; è uno Stato in cui lo stesso potere pubblico ha la forma, la misura e il limite della legge, e la legge, come disposizione generale, è un atto di chiarezza, è un'assunzione di responsabilità, è un impegno generale ed uguale.“  Aldo Moro


 

sabato 7 maggio 2022

Il Pensiero Elementare Riflessivo (PER)


                 

Il Pensiero Elementare Riflessivo (PER)

 (Filosofia per bambini dai 7 ai 107 anni)

 

            “Esiste una filosofia di tutti.

            Più precisamente:

            Esiste “un modo di pensare il mondo”

            presente nella mente di tutti

            uguale per tutti

            in tutti i tempi e in tutti i luoghi

            capito da tutti

            che permette a tutti

            di capire tutti.

 

Introduzione

DAL MASSIMO DI INCERTEZZA AL MASSIMO DI CERTEZZA

 

       INDOVINELLO

Nel pensar che nulla so

di sapere ho già pensato

ho pensato di sapere

molte cose buone e vere

Cerco una risposta all’indovinello tentando di pensare di non sapere nulla

e osservo cosa accade nella mia mente

Osservo che penso: “Se mi pongo la domanda su indicata “non posso non sapere” che “esiste una cosa che pensa di non sapere nulla”: quella “cosa” appunto che si pone la domanda in questione. Ossia quella cosa che nella lingua italiana viene chiamata “IO”.

Ecco dunque una prima risposta all’indovinello: “So che esiste almeno una cosa: il mio io”

 

Sul fatto che almeno un IO ESISTE (È),

non ci possono essere dubbi,

anzi vi è una certezza assoluta e indubitabile

per quanti sforzi io faccia per pensare di non sapere nulla

non posso pensare di non sapere che

il mio IO esiste

         Osservo ora che quello stesso io “pensa che pensa”;

quindi sa: “che pensa” e quindi sa che cosa è “pensare”,

ma soprattutto

SA che cosa è SAPERE.

 

 

 

sabato 30 aprile 2022

Civiltà della guerra o civiltà del lavoro?










Una leggenda diffusa nell’antica Grecia racconta di una gara immaginaria fra i due poeti che erano considerati i più grandi: Omero ed Esiodo.
Si narrava che i due Maestri parteciparono ad un “agone” (una specie di olimpiade nella quale oltre alle varie gare di prestanza fisica si svolgevano anche gare di poesia) indetto dal re dell’Eubea.
Una prima fase della gara prevedeva l’improvvisazione di versi che mettessero in luce l’abilità dei contendenti nell’ottenere una composizione artistica.
Dopo la prova, il pubblico applaudì molto più calorosamente Omero chiedendo così che la vittoria fosse assegnata a lui.
Ma il Giudice della gara chiese di attendere prima di decidere. E dispose un supplemento di prova. Chiese ad ognuno dei due di recitare il brano da lui stesso ritenuto il più bello di quanto aveva scritto.
Omero scelse una scena di combattimento tratta dall’Iliade. Esiodo scelse un passo di “Le opere e i giorni”.
Dopodiché il giudice assegnò la vittoria a Esiodo. E motivò così la sua decisione: “Merita il premio colui che dà valore alla pace, al lavoro e alla concordia fra gli uomini e non colui che eccitando gli animi con crudeli immagini di guerra spinge gli uomini all’odio e alla discordia che procurano a tutti solo atroci sofferenze e morte.”
La leggenda dimostra che già 600 anni prima di Cristo era del tutto chiara l’idea che nel convivere umano che chiamiamo “civile” l’unico valore è quello del lavoro. Ragion per cui una composizione letteraria non può mai essere apprezzata quando attribuisce un qualche valore alla guerra.
La leggenda ci pone di fronte a un interrogativo piuttosto imbarazzante.
Come mai se già 2600 anni fa si pensava che Esiodo fosse un maestro di vita superiore a Omero la fama di Omero è sempre stata nella storia molto più alta di quella di Esiodo?
I poemi di Omero, Iliade e Odissea, sono da sempre materia di studio nelle scuole primarie in Italia e probabilmente nelle scuole europee (e in quelle influenzate dalla cultura europea) mentre Esiodo è un poeta sconosciuto e anche i testi di letteratura del liceo classico gli dedicano sì e no una pagina?
O in altre parole. Come mai il tema della guerra ha un fascino così alto nelle menti degli scrittori e degli esseri umani in genere tanto da trovare sempre nelle opere letterarie un posto preferenziale rispetto al tema del lavoro?
L’interrogativo ci viene riproposto dall’esame dell’opera del più famoso dei poeti latini, Publio Virgilio Marone (70-19 a.C.), noto, proprio per la sua enorme fama, col solo nome di Virgilio.
Sappiamo che le principali opere del Poeta sono le Bucoliche, le Georgiche, l’Eneide. Che hanno per tema rispettivamente: la vita dei pastori; la vita degli agricoltori, le avventure di Enea.
Osserviamo. Le prime due opere, che parlano del lavoro della pastorizia e dell’agricoltura, raramente trovano spazio nei programmi scolastici. La terza invece è praticamente l’unica che viene letta e studiata. E, a ben guardare, è solo per essa che Virgilio è diventato famoso. Il tema di quest’ultima è costituito fondamentalmente dalle guerre che l’eroe, fuggito da Troia, deve combattere, dopo essere arrivato profugo nel Lazio, per creare le condizioni per la nascita di Roma.
La storia della letteratura ci informa che Virgilio era soddisfatto delle Bucoliche e delle Georgiche e riteneva che esse fossero sufficienti a garantirgli imperitura fama di poeta. Pensava invece che l’Eneide non fosse ancora perfezionata e avesse bisogno di ulteriore lavoro di correzione e ricomposizione. Nel suo testamento dispose quindi che il manoscritto dell’Eneide fosse distrutto. Sappiamo che Ottaviano Augusto, il fondatore dell’Impero Romano, pose il veto all’attuazione di questa disposizione testamentaria. E ordinò che l’opera fosse “pubblicata” ovviamente con i mezzi dell’epoca.
Augusto, come capivano tutti già all’epoca, non poteva permettere la distruzione dell’Eneide. Egli stesso infatti l’aveva commissionata a Virgilio. Egli voleva che in un poema scritto in latino, e capace di rivaleggiare con i poemi omerici, si celebrassero le mitiche e divine origini di Roma e della gens Julia. Voleva soprattutto che il poema fosse la celebrazione del nuovo ordine del mondo instaurato dalle sue imprese vittoriose. Lo strumento per la sua apoteosi: la divinizzazione della sua memoria presso i posteri.
Resta comunque il fatto che l’Eneide, poema di guerra, rimase nei secoli l’opera che consacrò, assieme alla fama di Ottaviano Augusto, la fama di Virgilio, mentre le Bucoliche e le Georgiche che volevano mettere in risalto la civiltà del lavoro, e nello stesso tempo lanciare un messaggio fermo e accorato contro la crudeltà e la stoltezza della guerra, sono rimaste pressoché sconosciute.
A questo punto dovremmo iniziare un discorso molto lungo sulla “natura” degli esseri umani i quali mostrano di sentire per la letteratura che ha come tema la guerra, un’attrazione molto più forte che per la letteratura che ha per tema il lavoro. O in altre parole provano un’attrazione più forte per una convivenza nella quale prevalgono l’odio, la discordia, la guerra, la morte che non per una convivenza fondata sul rispetto, sulla concordia, sul lavoro, sulla vita. L’unica forma di convivenza quest’ultima che meriti (almeno secondo Esiodo e Virgilio) la definizione di civiltà.

mercoledì 20 aprile 2022

Invettiva contro la guerra, settembre 1914


 

“Ad esecrare la guerra, a condannarla basterebbe pensare che essa rappresenta un'enorme violazione della libertà dell’autonomia umana. L’individuo con la sua personalità fisica intellettiva, morale, scompare; è soppresso; anche se non ha tendenza all’assassinio dovrà uccidere o farsi uccidere per la gloria dello Stato, gloria che gronda lacrime e sangue.

La guerra non sopprime solo i Partiti: annienta gli individui. Lo stato si “appropria” gli individui, come “requisisce” i quadrupedi. L’uomo cessa di essere, di sentire, di pensare. Chi esiste, pensa, sente per lui, è lo Stato. Lo Stato non chiede al popolo se voglia o no la guerra. È lo Stato che la vuole e basta. Il proletariato perde la sua autonomia di classe ogni residuo di libertà, perché perde il diritto di scelta. In tempo di pace, può non farsi sfruttare o cangiar padrone; in tempo di guerra, no. Non per niente lo Stato diventa… stato d’assedio.”

(Guerra, rivoluzione e socialismo. Avanti! – 13 settembre 1914)

Benito Mussolini

(Brano tratto da IL PENSIERO POLITICO DI MUSSOLINI a cura e con presentazione di Massimo di Massimo XX SECOLO EDIZIONI INTERNAZIONALI.)

Credo che il discorso sopra riportato meriti una discussione approfondita: sul contenuto, sulla persona che lo ha pronunciato; sulla storia dell’Italia, dell’Europa e del mondo a partire dal 1914 ai nostri giorni.


sabato 16 aprile 2022

Ricordiamo Roberto Ruffilli martire della democrazia

Ricordiamo Roberto Ruffilli, martire della democrazia.

(Forlì, 18 febbraio 1937 – Forlì, 16 aprile 1988)

Docente presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna. Senatore della Repubblica nelle legislature IX e X.

Il 16 aprile 1988 le Brigate Rosse Partito comunista combattente (BR-PCC),  (proprio pochi giorni dopo la nascita del nuovo governo presieduto da De Mita (di cui Ruffilli era amico e consigliere), assassinarono Roberto Ruffilli. Egli era appena rientrato nella sua casa forlivese da un convegno in città. Fu sorpreso dai brigatisti Stefano Minguzzi e Franco Grilli, che travestiti da postini, suonarono alla porta della sua abitazione con la scusa di recapitargli un pacco postale; entrati nell’abitazione, lo condussero nel soggiorno, dove lo fecero inginocchiare accanto al divano per poi ucciderlo con tre colpi di pistola alla nuca.

Dopo una telefonata al quotidiano la Repubblica nel giorno stesso dell’assassinio, alle 10.40 del 21 aprile fu ritrovato, in un bar di via Torre Argentina a Roma un volantino rivendicante l’uccisione, che esordiva così:

«Sabato 16 aprile un nucleo armato della nostra organizzazione ha giustiziato Roberto Ruffilli, […] uno dei migliori quadri politici della DC, l’uomo chiave del rinnovamento, vero e proprio cervello politico del progetto demitiano, teso ad aprire una nuova fase costituente, perno centrale del progetto di riformulazione delle regole del gioco, all’interno della complessiva rifunzionalizzazione dei poteri e degli apparati dello Stato. Ruffilli era altresì l’uomo di punta che ha guidato in questi ultimi anni la strategia democristiana sapendo concretamente ricucire, attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche intorno a questo progetto, comprese le opposizioni istituzionali.
Firmato: Brigate Rosse per la costituzione del Partito Comunista Combattente».

Roberto Ruffilli, riprendendo le analisi di Moro si misurava con il tema della democrazia “compiuta” dettata dalle norme della Costituzione. Una democrazia che prevede la possibilità di alternanza delle maggioranze di governo.

Democrazia che in Italia non si era mai potuta realizzare a causa delle “pregiudiziali” imposte dalla guerra fredda. In base a queste pregiudiziali, come è noto, il maggior partito di opposizione, il Pci, non era legittimato a essere parte di dette maggioranze.

Proprio per questo suo impegno culturale e politico egli fu assassinato, come si comprende leggendo il testo del comunicato dei suoi assassini. Costoro evidentemente non volevano che si realizzasse la democrazia prevista dalla Costituzione.

Questo assassinio politico, è strettamente legato, nelle motivazioni, a quello di Aldo Moro.

Rimangono, per coloro che condividevano le idee di Ruffilli e di Aldo Moro, molti gravi interrogativi sulla storia della Repubblica Italiana. Interrogativi di cui non parleremo in questo giorno che vogliamo dedicare in silenzio alla memoria di questo uomo mite e generoso, martire della democrazia; non il solo martire purtroppo. Troppi sono stati i martiri in questa Repubblica democratica nella quale per definizione non vi dovrebbero essere martiri della democrazia.


lunedì 11 aprile 2022

La guerra è frutto della menzogna

Rudyard Kipling  Epitaphs of the WarCommon form

If any question why we died, /Tell them, because our fathers lied.

EPITAFFI DI GUERRA

Tomba Comune

Se qualcuno domanda perché siamo morti
diteglielo.

Perché i nostri padri hanno mentito

 

Rudyard Kipling (1865-1936) ha scritto, tra molte opere famosissime, una raccolta  di brevi componimenti intitolata “Epitaffi di guerra”.

Lo scrittore  immagina di trovarsi, durante la Prima guerra mondiale, in un cimitero di guerra di soldati inglesi e di leggere l'epitaffio, scritto sulle singole lapidi, che riferisce il motivo della morte di ciascun caduto.

Nel testo qui in esame egli legge quello posto sopra una tomba di un gruppo di caduti sepolti insieme (tomba comune, common form).

Nella prima parte parla uno dei caduti chiedendo: “Perché siamo morti?”. La risposta, riportata nella seconda parte, viene data da un altro dei commilitoni (che ha scoperto la verità) ed è:  “Diteglielo. Perché i nostri padri hanno mentito”.

Sappiamo che la poesia riferisce precisamente il pensiero dell'autore il quale, in quella guerra, aveva perso un figlio (battaglia di Loos 1915).

Dobbiamo riconoscere che Kipling, noto per essere il cantore dell'Impero Britannico, ha mostrato con questo componimento un notevole coraggio morale. Quello di confessare apertamente di essere stato tra i “padri mentitori” che hanno causato i milioni di morti della Grande Guerra.

https://www.ilpopolo.cloud/cultura/844-epitaffi-di-guerra-se-qualcuno-domanda-perche-siamo-morti-diteglielo-perche-i-nostri-padri-hanno-mentito.html

https://www.pensalibero.it/la-guerra-e-frutto-della-menzogna/

 

Perché piangi?

 

Perché piangi?
disse

egli si mosse lento alla deriva

sull'acqua limpida e fonda
scorreva tranquilla la barca
e il canto si levò di un usignolo
triste e felice come un cielo
che attende la tempesta da tramontana
ancora quasi sereno

addio dolce canto di sole ed acqua
ci siamo amati tu ed io
come sole ed acqua

io scendo lungo la corrente
e affondo lentamente
mi perdo e ti perdono
l'addio di domani

domani sarà ugualmente
noi l'attendiamo
ugualmente
la notte lavora per l'alba
lungo il fiume

 

(Giorgio Pizzol Le stagioni del presente 1991 Premio letterario de Il Gazzettino 30.5.’93 Concorso Internazionale di Poesia "Città di Venezia" 17° Edizione)

 

mercoledì 30 marzo 2022

A due a due



Nous n'irons pas au but un à un mais par deux
Nous connaissant par deux nous nous connaîtrons tous
Nous nous aimerons tous et nos enfants riront
De la légende noire où pleure un solitaire.
                                                Paul Eluard Le temps déborde (1946)

Non giungeremo alla meta ad uno ad uno ma a due a due 
Se ci conosceremo a due a due noi ci conosceremo tutti
Noi ci ameremo tutti e i nostri figli rideranno
Della leggenda nera dove un uomo è solo e piange.

                                                      Paul Éluard (1895-1952)
(traduzione libera )

Invidio questo poeta-filosofo per questi versi. Ha scritto, in poche righe, un trattato completo di filosofia morale. Una filosofia semplice, comprensibile da tutti, in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

Più che per la bellezza apprezzo questa poesia per il concetto che essa esprime. Essa, a mio parere, espone e propone infatti un particolare metodo per la comunicazione tra gli esseri umani.

Il poeta, a mio parere, ha voluto dire che le persone incontrandosi mentre compiono il cammino della loro vita possono trovare il modo di mettersi una di fronte all'altra, a due a due, e comunicarsi reciprocamente il proprio sentire, il proprio pensare, il proprio modo di vedere il mondo.

Quando due persone avranno avuto modo di compiere questa esperienza ognuna di esse sarà in grado di conoscere quanto vi è di comune e di diverso e nel sentire e nel pensare di ciascuna. Quante più volte l’esperienza sarà ripetuta tanto più alta sarà per ogni persona la capacità di conoscere quanto di uguale e quanto di diverso vi è nel sentire e nel pensare di ogni altra che avrà avuto l’occasione di incontrare.

In sintesi, qualunque persona sia capace di rapportarsi “a due a due” svilupperà la sua capacità di conoscere e di comunicare con qualsiasi altra. E quindi di amare e di essere amata da ogni altra. Vale a dire la capacità di vivere amando la vita e il bene proprio e, nello stesso tempo, la vita e il bene altrui.

Il risultato di questo modo di conoscersi e amarsi reciproco degli esseri umani, in ogni caso, sarà

quello di vincere quella terribile sofferenza che viene causata dal “senso di solitudine”. Una sofferenza che, forse, è più acuta di quella causata dalla paura della morte.

Può essere naturalmente che questa idea di Eluard sia solo un'utopia. A chi scrive piace pensare che l'idea sia buona e realizzabile concretamente e che essa sia tale da far sorridere i nostri posteri sul tempo in cui gli uomini erano succubi della leggenda nera dove un uomo è solo e piange.

giovedì 3 marzo 2022

I due fanciulli


Era il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d'oro
dell'ombroso viale, i due fanciulli.

Nel gioco, serio al pari d'un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de' tigli,
tra lor parole grandi più di loro.

A sé videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l'uno e l'altro, esangue,
ne' tenui diti si trovò gli artigli,

e in cuore un'acre bramosia di sangue,
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l'uno dell'altro per il volto, il sangue!

Ma tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,

ed «A letto» intimasti «ora, cattivi!»

A letto, il buio li fasciò, gremito
d'ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d'ogni angolo al labbro alzino il dito.

Via via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.

L'uno si volse, e l'altro ancor, leggero:
nel buio udì l'un cuore, non lontano
il calpestìo dell'altro passeggero.

Dopo breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.

Guardò sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l'uno all'altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;

e rincalzò, con un sorriso, il letto.

Uomini, nella truce ora dei lupi,
pensate all'ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a' silenzi cupi

che regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d'un'ape dentro il bugno vuoto.

Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d'aver fratelli in suo timor, non erra.

Pace, fratelli! e fate che le braccia
ch'ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.

E buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini

la Morte con la sua lampada accesa.

Giovanni Pascoli (1855-1912)

Questa poesia veniva imparata a memoria durante la scuola elementare e media negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Il suo contenuto è facilmente comprensibile. L’impulso ad aggredirsi e a uccidersi è nel cuore degli uomini, anche fratelli, fin dalla prima infanzia. Ma nel cuore degli uomini c’è anche l’impulso ad abbracciarsi e a proteggersi reciprocamente dalla morte che aspetta tutti alla fine della vita.
Troppo facile dire, con Giovanni Pascoli, che il primo impulso va represso e il secondo va coltivato?

giovedì 17 febbraio 2022

Il movimento nello spazio

 


 

Alcune delle "cose" che tutti sanno anche se non sanno di sapere

Misuriamo distanze che “stanno” (intercorrono) fra molteplici “punti fermi”.
- Le distanze fra corpi (o fra punti di corpi) “cambiano” quando i corpi si muovono, compiono movimenti.
- Il movimento è sempre compiuto da un corpo o da una parte (da almeno un punto) di un corpo.
- Lo spazio (il nulla) in quanto “assenza di materia” “non si muove” (non è né fermo né in movimento).
- Il movimento può avvenire solo se vi è “spazio vuoto (libero)”: spazio “non occupato da materia” (nel quale la materia è assente, nulla).
- Un punto che si muove “descrive” (disegna) una “figura geometrica” nello spazio.
- Solo se vi sono (se esistono) almeno due corpi è possibile il movimento.
- Un solo corpo nello spazio non si muove (non è né fermo né in movimento).
- Se tutti i punti (di tutti i corpi) sono fermi non vi è (né è pensabile) nessun movimento.
- Se non si svolge nessun movimento non vi è il tempo.
- Se un punto si muove rispetto a un altro la distanza fra i due punti “varia” (cambia); se la distanza fra due punti varia almeno uno dei due è in movimento.
- Ogni movimento ha un inizio, una durata e una fine nel tempo.
- Inizio e fine sono “punti fermi” nello spazio e nel tempo.

V. L'indovinello di Socrate  https://pizzol.blogspot.com/search?q=l%27indovinello+di+socrate 

Brano tratto da  Pensiero del limite e limite del pensiero (1998)



sabato 12 febbraio 2022

Democrazia è "voto uguale", altrimenti non è democrazia

7 FEBBRAIO 2022

Fino alla metà degli anni ’70 del secolo scorso si diceva che la Costituzione italiana avrebbe potuto essere considerata valida in qualsiasi stato del mondo. Anzi avrebbe potuto persino essere la Costituzione che regolava i rapporti tra gli stati di tutto il mondo e, in futuro, la Costituzione degli Stati Uniti del Mondo. E ciò perché garantiva a tutti i cittadini il massimo di partecipazione democratica razionalmente pensabile mediante gli articoli 48, 49, 51. In sintesi: il “voto uguale” e l’uguale diritto dei cittadini a partecipare all’attività dei partiti.

Negli ultimi 30anni a seguito dell’approvazione di sistemi elettorali “maggioritari” sono stati aboliti i “partiti” come previsti dall’articolo 49 della Costituzione (i partiti-associazione). Dal 1993 i partiti sono stati sostituiti da “poli” e da “movimenti” sotto la guida di leader.

Gli attuali membri Parlamento italiano, eletti con leggi elettorali incostituzionali, sono tutti contro il Parlamento e contro la Costituzione. Infatti hanno ridotto drasticamente il numero dei seggi parlamentari e si preparano a cambiare ancora la Costituzione trasformando la democrazia italiana da “parlamentare” in “presidenziale” (probabilmente con una sola Camera).

I pilastri centrali della democrazia dettata dalla nostra Carta: i partiti e il Parlamento sono stati demoliti.

Il tradimento della Costituzione è stato consentito dal fatto che il 90 per cento degli italiani non ha mai voluto leggere e studiare la Costituzione mentre la grande stampa e la cultura accademica da oltre 40 anni continua a dire che la Costituzione Italiana è obsoleta.

I democratici sinceri (se ancora ci sono) chiedono oggi un sistema elettorale proporzionale puro: senza premi di maggioranza e senza sbarramenti. Questo sistema, dopo la drastica riduzione dei seggi del Parlamento diventa l’ultima trincea della democrazia.

Si dia a ogni partito il numero di seggi che gli spetta in proporzione ai voti ricevuti.

Non c’è altro modo per rispettare il diritto dei cittadini di eleggere e di essere eletti con “voto uguale” come stabilito dagli articoli sopra citati.

Democrazia, secondo la nostra Costituzione, è “voto uguale” altrimenti non è democrazia.

Non si dimentichi che l’art. 54 dispone che “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”.

N.B. Osservare e quindi attuare la Costituzione non violarla o cambiarla.

https://www.ilpopolo.cloud/politica/743-perche-una-legge-proporzionale-pura.html

https://www.ilpopolo.cloud/attualita/751-l-art-49-della-costituzione.html

https://www.ilpopolo.cloud/politica/810-democrazia-e-voto-uguale-altrimenti-non-e-democrazia.html

https://www.corrierenazionale.net/democrazia-e-voto-uguale-altrimenti-non-e-democrazia/

https://www.pensalibero.it/democrazia-e-voto-uguale-altrimenti-non-e-democrazia/