mercoledì 26 aprile 2023

Un buon consiglio di Platone e di Papa Giovanni












“Infatti ora certo non stiamo gareggiando perché io voglio risultino vincenti le mie affermazioni e tu le tue, ma credo noi due dobbiamo lottare insieme in favore della pura verità” Platone (Filebo)

Platone, se non ho capito male, ci dà questo consiglio. Quando si discute intorno a un argomento qualsiasi non dobbiamo proporci di far prevalere le nostre tesi su quelle degli altri interlocutori, ma dobbiamo prestare attenzione agli argomenti di tutti partecipanti alla discussione allo scopo di arrivare, tutti insieme, alla conoscenza di una verità. Platone, sempre se non ho capito male, è convinto che esista la verità oggettiva. Egli pensa che la verità a volte è assolutamente evidente, come nelle verità della matematica, a volte è invece difficile da conoscere a causa dei limiti delle affezioni dell’animo e dei difetti delle nostre capacità intellettive; ad es. nel campo della bontà delle scelte delle nostre azioni, tema questo del dialogo intitolato Filebo. Per la ricerca mediante la discussione, il dialogo, intorno a queste verità non evidenti Platone ci invita ad adottare il “metodo” di discussione sopra descritto. Per me questo metodo è valido. La verità, una volta trovata, è di tutti. Tutti “vincono” nella discussione quando una verità viene conosciuta.

Di questi tempi è difficile incontrare “dialoghi” che adottino il metodo su indicato. Le discussioni sui giornali, alla Tv, nei social quasi mai sono dialoghi. Sono quasi sempre monologhi autoreferenziali: ognuno espone una tesi e, lungi dal prendere in considerazioni tesi che espongano opinioni diverse, mostra disprezzo per chiunque non si dichiari completamente d’accordo. Questo metodo non ha nessuna utilità, non consente una ricerca obiettiva in nessun campo. Anzi provoca solo risse fra coloro che parlano e produce nella società un atteggiamento di tipo manicheo: ognuno si schiera da una parte che ritiene assolutamente giusta e considera chi non la pensa come lui un agente delle forze del male assoluto.

Chi scrive si permette di consigliare l’adozione del metodo su descritto dal grande filosofo. Cercare la verità oggettiva con pazienza, rispettando lo sforzo compiuto da qualsiasi altro nella ricerca della verità. Verità che spesso è difficile da conoscere. Gli interlocutori in qualsiasi discussione devono sentirsi cercatori di verità, riconoscersi reciprocamente la buona fede e collaborare per trovare la via che conduce al vero in tutte le materie. In materia di ricerca scientifica e anche in materia di rapporti umani.

Le considerazioni sopra svolte ci fanno venire in mente l’insegnamento che leggiamo nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII – di cui quest’anno ricorre il 60esimo anniversario della pubblicazione – nella ricerca della verità della fede e della morale valida nei rapporti fra i singoli, fra i gruppi sociali e fra i popoli.

Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità.

Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno. Per cui chi in un particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non credono, o credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio

 


giovedì 13 aprile 2023

Lo stato della coscienza civile in italia

La disaffezione al voto non è che uno dei sintomi della caduta del senso delle istituzioni. In sintesi crediamo si possa dire che gli italiani sono sempre prontissimi a reclamare a gran voce il rispetto dei loro diritti ma non vogliono sentir parlare dell’adempimento dei loro doveri








 



di Giorgio Pizzol  12 Aprile 2023

Il 16 gennaio 2022 si sono svolte le elezioni per l’assegnazione del seggio alla Camera dei deputati nel Collegio uninominale Roma 1, rimasto vacante dopo l’elezione di Roberto Gualtieri a sindaco della Città. Si è recato alle urne soltanto l’11% degli aventi diritto.

Si tratta ovviamente di un caso limite e tuttavia il fatto appare un indicatore inequivocabile della progressiva caduta negli italiani del senso delle istituzioni. La tendenza descritta per altro è confermata nelle elezioni degli ultimi 30 anni.

La disaffezione al voto non è che uno dei sintomi della caduta del senso delle istituzioni. In sintesi crediamo si possa dire che gli italiani sono sempre prontissimi a reclamare a gran voce il rispetto dei loro diritti ma non vogliono sentir parlare dell’adempimento dei loro doveri.

In questa sede chi scrive vorrebbe tentare di individuare le cause del fenomeno su descritto e nello stesso tempo indicare qualche possibile rimedio.

Si tenterà qui di portare qualche contributo sul punto partendo dall’osservazione che il testo della Costituzione Italiana costituisce uno strumento impareggiabile per la formazione della coscienza civile dei cittadini. 

Ci poniamo ora questo interrogativo.

Come è possibile che il livello di educazione civile in Italia sia caduto così in basso se è vero – come è vero – che nel testo della Carta fondamentale è possibile leggere una chiara descrizione dei diritti che sono a tutti garantiti e dei doveri ai quali tutti si devono attenere sia per la realizzazione della propria personalità sia per la salvaguardia del bene comune?

Le risposte richiederebbero, come chiunque comprende, un esame approfondito della storia del nostro paese che va dall’entrata in vigore della Costituzione ai nostri giorni.

E tuttavia crediamo si possa affermare che la principale causa del problema in questione sia evidente agli italiani di qualsiasi età e condizione sociale. E questa causa può essere indicata con una sola parola: ignoranza. Gli italiani non conoscono la Costituzione. Una percentuale della popolazione che si aggira intorno al 60 per cento non sa neppure che la Costituzione esista e tra quelli che sanno che esiste sono pochissimi coloro che l’hanno studiata attentamente; mentre solo una ridottissima minoranza di questi ultimi, ai nostri giorni, è sinceramente convinto che si tratti della Costituzione più civile del mondo.

Constateremo comunque che tutti coloro che non conoscono la Costituzione non possono apprendere l’educazione civile che essa impartisce e prescrive.

A questo punto siamo costretti a porci un ulteriore quesito. Come è potuto accadere che la conoscenza della Carta fondamentale sia così scarsa quando l’articolo 54, prescrive chiaramente: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

Una prima anche se parziale risposta al quesito la possiamo trovare leggendo attentamente l’articolo appena citato. Esso ci consente di individuare a chi va imputata, in buona parte, la responsabilità per l’ignoranza degli italiani in materia di Costituzione. L’articolo infatti, nella seconda parte, ci dice che vi sono “cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche che devono essere adempiute con disciplina e onore”. Tra queste vi è senza dubbio l’importantissima funzione comunemente denominata “pubblica istruzione”. L’esercizio di tale funzione spetta ad un particolare organo del Governo e al relativo apparato amministrativo. Ai titolari di questa funzione spetta dunque il dovere di predisporre i mezzi, le forme e programmi di studio che consentano agli studenti di ogni ordine e grado, a partire dalla prima infanzia, di ottenere un’adeguata conoscenza della Costituzione: della sua storia e delle sue norme.

In base all’esperienza personale, chi scrive ritiene di poter dire, con molta amarezza, che, salvo lodevoli ma rarissime eccezioni, la Costituzione Italiana non è mai entrata nelle scuole italiane.

Assodato che una grossa parte di responsabilità del problema di cui parliamo va attribuita ai titolari della funzione della pubblica istruzione, riteniamo sia doveroso dire che il compito di far conoscere la Costituzione spetta anche ad altre importantissime componenti della società italiana.

Chiunque comprende che il compito in esame spetta in misura assai rilevante a coloro che hanno il potere di disporre dei mezzi di informazione e di comunicazione di massa, i così detti “media”, soprattutto la stampa e le emittenti radio-televisive.

L’esame del comportamento dei responsabili di questi mezzi (editori, direttori, giornalisti) in relazione al tema di cui parliamo richiede un discorso che dovrà essere trattato in un articolo a parte. Ci limiteremo qui a constatare che i media più potenti, specialmente negli ultimi 30anni, non solo non hanno diffuso la conoscenza della Costituzione, ma si sono impegnati in campagne denigratorie delle Istituzioni costituzionali facendo opera di disinformazione, e inducendo l’opinione pubblica a pensare che la Costituzione approvata dall’Assemblea Costituente nel 1947 non sarebbe adeguata alle esigenze della società italiana attuale. Costoro hanno parlato di Costituzione solo per dire che essa andava cambiata.

Si potrebbe dire perciò che i grandi media invece che osservare il dovere di fedeltà alla Costituzione dettato dall’art. 54 lo hanno clamorosamente e sistematicamente violato. Ma su questo fenomeno come dicevamo occorre svolgere un discorso più articolato.

Un’ultima considerazione.

Un cittadino comune che non ha cariche pubbliche e non ha nessun potere di disporre dei mezzi di informazione potrebbe pensare di non essere responsabile della propria ignoranza in materia di Costituzione. Eppure crediamo che anche questo cittadino debba fare un attento esame di coscienza e prendere atto che non può sentirsi del tutto esente da responsabilità. Osserviamo. Ogni cinque anni si svolgono elezioni politiche per il rinnovo delle Camere. Ogni cinque anni per il rinnovo dei Consigli regionali e Comunali. Quindi, poiché le scadenze quinquennali non coincidono, almeno ogni due anni e mezzo ogni cittadino italiano maggiorenne viene chiamato con avvisi pubblici ad esprimere il suo voto per la scelta delle cariche pubbliche rappresentative nazionali e locali.

Per quanto poco egli possa sapere sulla Costituzione egli non può non sapere che ha il diritto (e il dovere) di votare e che soltanto quei cittadini che egli sceglierà saranno quelli cui sono affidate le funzioni pubbliche di cui parla l’art. 54. Quindi se avrà scelto cittadini che non rispettano l’articolo stesso egli sarà con loro responsabile dell’inadempimento.

In conclusione, della mancata osservanza dell’art. 54 sono responsabili tutti i cittadini italiani che dal 1948 ad oggi sono andati a votare e hanno scelto, in maggioranza, i loro rappresentanti nelle pubbliche istituzioni.

Resta il fatto che oggi la stragrande maggioranza degli italiani ignora colpevolmente la Costituzione Italiana e ignorandola non apprende l’ottima educazione civile che essa impartisce e prescrive. Se questa situazione perdura quindi gli italiani resteranno sempre educati male o male educati. E ciò non promette niente di buono per la nostra Patria.

https://www.pensalibero.it/lo-stato-della-coscienza-civile-in-italia/
 

mercoledì 5 aprile 2023

L'inquietante caso di Giuda Iscariota


 

L’inquietante destino di Giuda Iscariota

Giuda compie il tradimento di Cristo, atto necessario per volontà soprannaturale, alla salvezza dell’umanità intera e non può ottenere perdono. Inevitabile il paragone col tradimento di Pietro. Il quale non solo viene perdonato ma viene scelto da Gesù stesso per il compito più importante: quello di Capo della Chiesa, il massimo rappresentante della comunità nella quale Cristo continua a vivere nel mondo.

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 26,14-25

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli“». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbi, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

Rileggiamo: «Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». 

Il Figlio dell'uomo, Gesù, dunque doveva morire come avevano previsto i Profeti di Israele. Per morire doveva essere tradito da qualcuno. Se nessuno avesse tradito Gesù le profezie non si sarebbero potute avverare e Gesù non avrebbe potuto compiere la sua missione: salvare l'umanità dal peccato originale.

Giuda si assunse dunque il compito terribile di tradire il Maestro. Era un compito "assolutamente necessario" come avevano detto i Profeti per il riscatto di tutta l'umanità. 

Perché dunque Gesù dice "Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato"?

Impossibile non pensare che se qualcuno era meritevole di misericordia e quindi di perdono era proprio Giuda.

Invece sappiano che Giuda morì suicida nonostante il pentimento. 

Come raccontano rispettivamente Matteo 27, 3-10 e Atti degli Apostoli.

Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!». Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: «Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue». E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato "Campo di Sangue" fino al giorno d'oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: "E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore". 

"Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè "Campo di Sangue"

Ben altro destino viene invece riservato a Pietro che pure aveva tradito tre volte. Non solo viene perdonato ma viene scelto da Gesù stesso per il compito più importante: quello di Capo della Chiesa, di massimo rappresentante della comunità nella quale Cristo continua a vivere nel mondo.