sabato 30 aprile 2022

Civiltà della guerra o civiltà del lavoro?










Una leggenda diffusa nell’antica Grecia racconta di una gara immaginaria fra i due poeti che erano considerati i più grandi: Omero ed Esiodo.
Si narrava che i due Maestri parteciparono ad un “agone” (una specie di olimpiade nella quale oltre alle varie gare di prestanza fisica si svolgevano anche gare di poesia) indetto dal re dell’Eubea.
Una prima fase della gara prevedeva l’improvvisazione di versi che mettessero in luce l’abilità dei contendenti nell’ottenere una composizione artistica.
Dopo la prova, il pubblico applaudì molto più calorosamente Omero chiedendo così che la vittoria fosse assegnata a lui.
Ma il Giudice della gara chiese di attendere prima di decidere. E dispose un supplemento di prova. Chiese ad ognuno dei due di recitare il brano da lui stesso ritenuto il più bello di quanto aveva scritto.
Omero scelse una scena di combattimento tratta dall’Iliade. Esiodo scelse un passo di “Le opere e i giorni”.
Dopodiché il giudice assegnò la vittoria a Esiodo. E motivò così la sua decisione: “Merita il premio colui che dà valore alla pace, al lavoro e alla concordia fra gli uomini e non colui che eccitando gli animi con crudeli immagini di guerra spinge gli uomini all’odio e alla discordia che procurano a tutti solo atroci sofferenze e morte.”
La leggenda dimostra che già 600 anni prima di Cristo era del tutto chiara l’idea che nel convivere umano che chiamiamo “civile” l’unico valore è quello del lavoro. Ragion per cui una composizione letteraria non può mai essere apprezzata quando attribuisce un qualche valore alla guerra.
La leggenda ci pone di fronte a un interrogativo piuttosto imbarazzante.
Come mai se già 2600 anni fa si pensava che Esiodo fosse un maestro di vita superiore a Omero la fama di Omero è sempre stata nella storia molto più alta di quella di Esiodo?
I poemi di Omero, Iliade e Odissea, sono da sempre materia di studio nelle scuole primarie in Italia e probabilmente nelle scuole europee (e in quelle influenzate dalla cultura europea) mentre Esiodo è un poeta sconosciuto e anche i testi di letteratura del liceo classico gli dedicano sì e no una pagina?
O in altre parole. Come mai il tema della guerra ha un fascino così alto nelle menti degli scrittori e degli esseri umani in genere tanto da trovare sempre nelle opere letterarie un posto preferenziale rispetto al tema del lavoro?
L’interrogativo ci viene riproposto dall’esame dell’opera del più famoso dei poeti latini, Publio Virgilio Marone (70-19 a.C.), noto, proprio per la sua enorme fama, col solo nome di Virgilio.
Sappiamo che le principali opere del Poeta sono le Bucoliche, le Georgiche, l’Eneide. Che hanno per tema rispettivamente: la vita dei pastori; la vita degli agricoltori, le avventure di Enea.
Osserviamo. Le prime due opere, che parlano del lavoro della pastorizia e dell’agricoltura, raramente trovano spazio nei programmi scolastici. La terza invece è praticamente l’unica che viene letta e studiata. E, a ben guardare, è solo per essa che Virgilio è diventato famoso. Il tema di quest’ultima è costituito fondamentalmente dalle guerre che l’eroe, fuggito da Troia, deve combattere, dopo essere arrivato profugo nel Lazio, per creare le condizioni per la nascita di Roma.
La storia della letteratura ci informa che Virgilio era soddisfatto delle Bucoliche e delle Georgiche e riteneva che esse fossero sufficienti a garantirgli imperitura fama di poeta. Pensava invece che l’Eneide non fosse ancora perfezionata e avesse bisogno di ulteriore lavoro di correzione e ricomposizione. Nel suo testamento dispose quindi che il manoscritto dell’Eneide fosse distrutto. Sappiamo che Ottaviano Augusto, il fondatore dell’Impero Romano, pose il veto all’attuazione di questa disposizione testamentaria. E ordinò che l’opera fosse “pubblicata” ovviamente con i mezzi dell’epoca.
Augusto, come capivano tutti già all’epoca, non poteva permettere la distruzione dell’Eneide. Egli stesso infatti l’aveva commissionata a Virgilio. Egli voleva che in un poema scritto in latino, e capace di rivaleggiare con i poemi omerici, si celebrassero le mitiche e divine origini di Roma e della gens Julia. Voleva soprattutto che il poema fosse la celebrazione del nuovo ordine del mondo instaurato dalle sue imprese vittoriose. Lo strumento per la sua apoteosi: la divinizzazione della sua memoria presso i posteri.
Resta comunque il fatto che l’Eneide, poema di guerra, rimase nei secoli l’opera che consacrò, assieme alla fama di Ottaviano Augusto, la fama di Virgilio, mentre le Bucoliche e le Georgiche che volevano mettere in risalto la civiltà del lavoro, e nello stesso tempo lanciare un messaggio fermo e accorato contro la crudeltà e la stoltezza della guerra, sono rimaste pressoché sconosciute.
A questo punto dovremmo iniziare un discorso molto lungo sulla “natura” degli esseri umani i quali mostrano di sentire per la letteratura che ha come tema la guerra, un’attrazione molto più forte che per la letteratura che ha per tema il lavoro. O in altre parole provano un’attrazione più forte per una convivenza nella quale prevalgono l’odio, la discordia, la guerra, la morte che non per una convivenza fondata sul rispetto, sulla concordia, sul lavoro, sulla vita. L’unica forma di convivenza quest’ultima che meriti (almeno secondo Esiodo e Virgilio) la definizione di civiltà.

mercoledì 20 aprile 2022

Invettiva contro la guerra, settembre 1914


 

“Ad esecrare la guerra, a condannarla basterebbe pensare che essa rappresenta un'enorme violazione della libertà dell’autonomia umana. L’individuo con la sua personalità fisica intellettiva, morale, scompare; è soppresso; anche se non ha tendenza all’assassinio dovrà uccidere o farsi uccidere per la gloria dello Stato, gloria che gronda lacrime e sangue.

La guerra non sopprime solo i Partiti: annienta gli individui. Lo stato si “appropria” gli individui, come “requisisce” i quadrupedi. L’uomo cessa di essere, di sentire, di pensare. Chi esiste, pensa, sente per lui, è lo Stato. Lo Stato non chiede al popolo se voglia o no la guerra. È lo Stato che la vuole e basta. Il proletariato perde la sua autonomia di classe ogni residuo di libertà, perché perde il diritto di scelta. In tempo di pace, può non farsi sfruttare o cangiar padrone; in tempo di guerra, no. Non per niente lo Stato diventa… stato d’assedio.”

(Guerra, rivoluzione e socialismo. Avanti! – 13 settembre 1914)

Benito Mussolini

(Brano tratto da IL PENSIERO POLITICO DI MUSSOLINI a cura e con presentazione di Massimo di Massimo XX SECOLO EDIZIONI INTERNAZIONALI.)

Credo che il discorso sopra riportato meriti una discussione approfondita: sul contenuto, sulla persona che lo ha pronunciato; sulla storia dell’Italia, dell’Europa e del mondo a partire dal 1914 ai nostri giorni.


sabato 16 aprile 2022

Ricordiamo Roberto Ruffilli martire della democrazia

Ricordiamo Roberto Ruffilli, martire della democrazia.

(Forlì, 18 febbraio 1937 – Forlì, 16 aprile 1988)

Docente presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna. Senatore della Repubblica nelle legislature IX e X.

Il 16 aprile 1988 le Brigate Rosse Partito comunista combattente (BR-PCC),  (proprio pochi giorni dopo la nascita del nuovo governo presieduto da De Mita (di cui Ruffilli era amico e consigliere), assassinarono Roberto Ruffilli. Egli era appena rientrato nella sua casa forlivese da un convegno in città. Fu sorpreso dai brigatisti Stefano Minguzzi e Franco Grilli, che travestiti da postini, suonarono alla porta della sua abitazione con la scusa di recapitargli un pacco postale; entrati nell’abitazione, lo condussero nel soggiorno, dove lo fecero inginocchiare accanto al divano per poi ucciderlo con tre colpi di pistola alla nuca.

Dopo una telefonata al quotidiano la Repubblica nel giorno stesso dell’assassinio, alle 10.40 del 21 aprile fu ritrovato, in un bar di via Torre Argentina a Roma un volantino rivendicante l’uccisione, che esordiva così:

«Sabato 16 aprile un nucleo armato della nostra organizzazione ha giustiziato Roberto Ruffilli, […] uno dei migliori quadri politici della DC, l’uomo chiave del rinnovamento, vero e proprio cervello politico del progetto demitiano, teso ad aprire una nuova fase costituente, perno centrale del progetto di riformulazione delle regole del gioco, all’interno della complessiva rifunzionalizzazione dei poteri e degli apparati dello Stato. Ruffilli era altresì l’uomo di punta che ha guidato in questi ultimi anni la strategia democristiana sapendo concretamente ricucire, attraverso forzature e mediazioni, tutto l’arco delle forze politiche intorno a questo progetto, comprese le opposizioni istituzionali.
Firmato: Brigate Rosse per la costituzione del Partito Comunista Combattente».

Roberto Ruffilli, riprendendo le analisi di Moro si misurava con il tema della democrazia “compiuta” dettata dalle norme della Costituzione. Una democrazia che prevede la possibilità di alternanza delle maggioranze di governo.

Democrazia che in Italia non si era mai potuta realizzare a causa delle “pregiudiziali” imposte dalla guerra fredda. In base a queste pregiudiziali, come è noto, il maggior partito di opposizione, il Pci, non era legittimato a essere parte di dette maggioranze.

Proprio per questo suo impegno culturale e politico egli fu assassinato, come si comprende leggendo il testo del comunicato dei suoi assassini. Costoro evidentemente non volevano che si realizzasse la democrazia prevista dalla Costituzione.

Questo assassinio politico, è strettamente legato, nelle motivazioni, a quello di Aldo Moro.

Rimangono, per coloro che condividevano le idee di Ruffilli e di Aldo Moro, molti gravi interrogativi sulla storia della Repubblica Italiana. Interrogativi di cui non parleremo in questo giorno che vogliamo dedicare in silenzio alla memoria di questo uomo mite e generoso, martire della democrazia; non il solo martire purtroppo. Troppi sono stati i martiri in questa Repubblica democratica nella quale per definizione non vi dovrebbero essere martiri della democrazia.


lunedì 11 aprile 2022

La guerra è frutto della menzogna

Rudyard Kipling  Epitaphs of the WarCommon form

If any question why we died, /Tell them, because our fathers lied.

EPITAFFI DI GUERRA

Tomba Comune

Se qualcuno domanda perché siamo morti
diteglielo.

Perché i nostri padri hanno mentito

 

Rudyard Kipling (1865-1936) ha scritto, tra molte opere famosissime, una raccolta  di brevi componimenti intitolata “Epitaffi di guerra”.

Lo scrittore  immagina di trovarsi, durante la Prima guerra mondiale, in un cimitero di guerra di soldati inglesi e di leggere l'epitaffio, scritto sulle singole lapidi, che riferisce il motivo della morte di ciascun caduto.

Nel testo qui in esame egli legge quello posto sopra una tomba di un gruppo di caduti sepolti insieme (tomba comune, common form).

Nella prima parte parla uno dei caduti chiedendo: “Perché siamo morti?”. La risposta, riportata nella seconda parte, viene data da un altro dei commilitoni (che ha scoperto la verità) ed è:  “Diteglielo. Perché i nostri padri hanno mentito”.

Sappiamo che la poesia riferisce precisamente il pensiero dell'autore il quale, in quella guerra, aveva perso un figlio (battaglia di Loos 1915).

Dobbiamo riconoscere che Kipling, noto per essere il cantore dell'Impero Britannico, ha mostrato con questo componimento un notevole coraggio morale. Quello di confessare apertamente di essere stato tra i “padri mentitori” che hanno causato i milioni di morti della Grande Guerra.

https://www.ilpopolo.cloud/cultura/844-epitaffi-di-guerra-se-qualcuno-domanda-perche-siamo-morti-diteglielo-perche-i-nostri-padri-hanno-mentito.html

https://www.pensalibero.it/la-guerra-e-frutto-della-menzogna/

 

Perché piangi?

 

Perché piangi?
disse

egli si mosse lento alla deriva

sull'acqua limpida e fonda
scorreva tranquilla la barca
e il canto si levò di un usignolo
triste e felice come un cielo
che attende la tempesta da tramontana
ancora quasi sereno

addio dolce canto di sole ed acqua
ci siamo amati tu ed io
come sole ed acqua

io scendo lungo la corrente
e affondo lentamente
mi perdo e ti perdono
l'addio di domani

domani sarà ugualmente
noi l'attendiamo
ugualmente
la notte lavora per l'alba
lungo il fiume

 

(Giorgio Pizzol Le stagioni del presente 1991 Premio letterario de Il Gazzettino 30.5.’93 Concorso Internazionale di Poesia "Città di Venezia" 17° Edizione)