domenica 17 marzo 2024

Paura delle macchine intelligenti?

 


















"Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno". Albert Einstein.

Io non credo che si debba aver paura delle macchine. Le macchine sono sempre guidate da uomini. La macchina non pensa, non è intelligente, lavora su programmi creati dagli esseri umani. Quindi sono quegli uomini che hanno il potere di gestire le macchine che le possono usare per fare del male ad altri uomini o a tutta l'umanità.

Sono questi gestori di macchine, non le macchine, che devono farci paura.

Dobbiamo fare in modo:

I) che si sappia chi sono questi gestori diffondendo i loro nomi e cognomi e ragioni sociali;

II) che sia chiesto a questi uomini di mettere - "democraticamente" - le macchine dell'IA a disposizione delle comunità umane piccole o grandi.

Certo finché saranno pochi magnati a detenere il potere di usare nel loro esclusivo interesse le macchine saremo in pericolo.

Ma non è detto che questa situazione non possa essere cambiata. Occorre diffondere la consapevolezza che l'IA deve rimanere a disposizione di tutti.

E non si può escludere che proprio le macchine dell'IA possano aiutare gli uomini di buona volontà (compresi anche alcuni magnati) a democratizzare , a mantenere aperto a tutti l'uso dell'IA.



giovedì 11 gennaio 2024

Rose Bazzoli recensione di LE STAGIONI DEL PRESENTE

 https://it.quora.com/profile/Giorgio-Pizzol/https-it-quora-com-profile-Rose-Bazzoli-Le-stagioni-del-presente-raccolta-poetica-di-Giorgio-Pizzol-La-poesia-di-Giorg?__nsrc__=4&__snid3__=58632708131

Le stagioni del presente raccolta poetica di Giorgio Pizzol.

La poesia di Giorgio Pizzol è come un motivo musicale che si svolge piano, trasportandoti con sé. La tentazione di lasciarsi andare e godere semplicemente del flusso delle parole e delle immagini è molto forte; forse è il potere degli elementi naturali che dominano i suoi versi: l’acqua, il cielo, l’erba, il vento… e poi i ricordi, la solitudine (più compagna desiderata, che temuta), gli amori che tornano vibranti come se passato e presente fossero tutt’uno… mentre il futuro è un foglio bianco di speranza.

Nella prefazione l'autore sostiene che “operando una combinazione casuale di suoni e significati di diverse parole, sotto la suggestione di particolari stati emotivi, è possibile produrre scritti che assomigliano molto a quelli che in letteratura vengono denominati poesie”.

Una modestia eccessiva, a parer mio. Nei versi di Giorgio prevale l’elemento lirico e intimista, ma l’accostamento di varie immagini, rivela il piacere intellettuale legato all’uso stesso della parola, nel creare suggestioni:

il suono vive e si propaga
- - composizione poetica
nido di rondine
nido d’ape
sussurro di pioggia
profumo d’acque sommerse
canto e mito perenne
dell’amore lontano e vicino
alba e tramonto
ecc.

Mi scuso per l’eccetera che non vuole sminuire la prima poesia della raccolta, ma evidenziare il processo di ispirazione casuale descritto dall’autore. L’elenco suggestivo di immagini naturalistiche culmina nell’invocazione finale che è il fulcro della composizione:

amami
- - come sorgente viva
energia perpetua senza coscienza
tu
immagine struggente
come il mattino
quando avidamente bacia
il roseo volto dell’aurora

sarà incontro non addio
finché sorriderà la speranza
- - di una stagione nuova
non importa quale

Non è un caso che gli ultimi tre versi siano anche la premessa del libro, un’indicazione generale dell’autore stesso sull’opera.

Ancora:

Una sera abbandonata sulle colline
il carro dell’orsa troppo carico di pace
ma non c’era la luna
e più che la notte era l’oscurità
i grilli incatenavano al loro canto
i raggi delle stelle
pace nell’ombra
ombra nella pace
cercavo di ricordare i tuoi occhi
e grilli incatenavano i sogni

ero al bivio della solitudine

cos’è la strada in questa vecchia sera
se non una forca per impiccare i ricordi

Bellissimo questo bivio della solitudine in cui il poeta deve scegliere tra il vivere “le stagioni del presente” o lasciarsi andare alla memoria. È una forca per impiccare i ricordi, immagine solo apparentemente cruda. Per me, splendida.

Ma non vorrei anticipare troppo e "spoilerare", come si dice oggi, la lettura di coloro, mi auguro molti, che si avvicineranno a questo autore che abbiamo il privilegio di annoverare tra gli utenti di Quora.

martedì 26 dicembre 2023

Papa Francesco Omelia di Natale 2023

Papa Francesco Natale 2023 

AR  - DE  - EN  - ES  - FR  - IT  - PL  - PT ]


SANTA MESSA DELLA NOTTE

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

 OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Domenica, 24 dicembre 2023

[Multimedia]

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«Il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). È questo il contesto nel quale Gesù nasce e su cui il Vangelo si sofferma. Poteva accennarne rapidamente, invece ne parla con accuratezza. E con ciò fa emergere un grande contrasto: mentre l’imperatore conta gli abitanti del mondo, Dio vi entra quasi di nascosto; mentre chi comanda cerca di assurgere tra i grandi della storia, il Re della storia sceglie la via della piccolezza. Nessuno dei potenti si accorge di Lui, solo alcuni pastori, relegati ai margini della vita sociale.

Ma il censimento dice di più. Nella Bibbia non lasciava un bel ricordo. Il re Davide, cedendo alla tentazione dei grandi numeri e ad una malsana pretesa di autosufficienza, aveva commesso un grave peccato proprio facendo il censimento del popolo. Voleva saperne la forza e dopo circa nove mesi ebbe il numero di quanti potevano maneggiare la spada (cfr 2 Sam 24,1-9). Il Signore si sdegnò e una disgrazia colpì il popolo. In questa notte, invece, il “Figlio di Davide”, Gesù, dopo nove mesi nel grembo di Maria, nasce a Betlemme, la città di Davide, e non punisce il censimento, ma si lascia umilmente conteggiare. Uno fra i tanti. Non vediamo un dio adirato che castiga, ma il Dio misericordioso che si incarna, che entra debole nel mondo, preceduto dall’annuncio: «sulla terra pace agli uomini» (Lc 2,14). E il nostro cuore stasera è a Betlemme, dove ancora il Principe della pace viene rifiutato dalla logica perdente della guerra, con il ruggire delle armi che anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo (cfr Lc 2,7).

Il censimento di tutta la terra, insomma, manifesta da una parte la trama troppo umana che attraversa la storia: quella di un mondo che cerca il potere e la potenza, la fama e la gloria, dove tutto si misura coi successi e i risultati, con le cifre e con i numeri. È l’ossessione della prestazione. Ma al contempo nel censimento risalta la via di Gesù, che viene a cercarci attraverso l’incarnazione. Non è il dio della prestazione, ma il Dio dell’incarnazione. Non sovverte le ingiustizie dall’alto con forza, ma dal basso con amore; non irrompe con un potere senza limiti, ma si cala nei nostri limiti; non evita le nostre fragilità, ma le assume.

Fratelli e sorelle, stanotte possiamo chiederci: noi in che Dio crediamo? Nel Dio dell’incarnazione o in quello della prestazione? Sì, perché c’è il rischio di vivere il Natale avendo in testa un’idea pagana di Dio, come se fosse un padrone potente che sta in cielo; un dio che si sposa con il potere, con il successo mondano e con l’idolatria del consumismo. Sempre torna l’immagine falsa di un dio distaccato e permaloso, che si comporta bene coi buoni e si adira coi cattivi; di un dio fatto a nostra immagine, utile solo a risolverci i problemi e a toglierci i mali. Lui, invece, non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del “tutto e subito”; non ci salva premendo un bottone, ma Lui si fa vicino per cambiare la realtà dal di dentro. Eppure, quanto è radicata in noi l’idea mondana di un dio distante e controllore, rigido e potente, che aiuta i suoi a prevalere contro gli altri! Tante volte è radicata in noi questa immagine. Ma non è così: Lui è nato per tutti, durante il censimento di tutta la terra.

Guardiamo dunque al «Dio vivo e vero» (1 Ts 1,9): a Lui, che sta al di là di ogni calcolo umano eppure si lascia censire dai nostri conteggi; a Lui, che rivoluziona la storia abitandola; a Lui, che ci rispetta al punto da permetterci di rifiutarlo; a Lui, che cancella il peccato facendosene carico, che non toglie il dolore ma lo trasforma, che non ci leva i problemi dalla vita, ma dà alle nostre vite una speranza più grande dei problemi. Desidera così tanto abbracciare le nostre esistenze che, infinito, per noi si fa finito; grande, si fa piccolo; giusto, abita le nostre ingiustizie. Fratelli e sorelle, ecco lo stupore del Natale: non un miscuglio di affetti sdolcinati e di conforti mondani, ma l’inaudita tenerezza di Dio che salva il mondo incarnandosi. Guardiamo il Bambino, guardiamo la sua mangiatoia, guardiamo il presepe, che gli angeli chiamano «il segno» (Lc 2,12): è infatti il segnale rivelatore del volto di Dio, che è compassione e misericordia, onnipotente sempre e solo nell’amore. Si fa vicino, si fa vicino, tenero e compassionevole, questo è il modo di essere di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza.

Sorelle, fratelli, stupiamoci perché “si è fatto carne” (cfr Gv 1,14). Carne: parola che richiama la nostra fragilità e che il Vangelo utilizza per dirci che Dio è entrato fino in fondo nella nostra condizione umana. Perché si è spinto a tanto? – ci domandiamo –. Perché gli interessa tutto di noi, perché ci ama al punto da ritenerci più preziosi di ogni altra cosa. Fratello, sorella, per Dio che ha cambiato la storia durante il censimento tu non sei un numero, ma sei un volto; il tuo nome è scritto nel suo cuore. Ma tu, guardando al tuo cuore, alle prestazioni non all’altezza, al mondo che giudica e non perdona, forse vivi male questo Natale, pensando di non andare bene, covando un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione per le tue fragilità, per le tue cadute e i tuoi problemi e per i tuoi peccati. Ma oggi, per favore, lascia l’iniziativa a Gesù, che ti dice: “Per te mi sono fatto carne, per te mi sono fatto come te”. Perché rimani nella prigione delle tue tristezze? Come i pastori, che hanno lasciato le loro greggi, lascia il recinto delle tue malinconie e abbraccia la tenerezza di Dio bambino. E fallo senza maschere, senza corazze, getta in Lui i tuoi affanni ed Egli si prenderà cura di te (cfr Sal 55,23): Lui, che si è fatto carne, non attende le tue prestazioni di successo, ma il tuo cuore aperto e confidente. E tu in Lui riscoprirai chi sei: un figlio amato di Dio, una figlia amata da Dio. Ora puoi crederlo, perché stanotte il Signore è venuto alla luce per illuminare la tua vita e i suoi occhi brillano d’amore per te. Noi abbiamo difficoltà a credere in questo, che gli occhi di Dio brillano di amore per noi.

Sì, Cristo non guarda i numeri, ma i volti. Chi, però, guarda a Lui, tra le tante cose e le folli corse di un mondo sempre indaffarato e indifferente? Chi lo guarda? A Betlemme, mentre molta gente, presa dall’ebbrezza del censimento, andava e veniva, riempiva gli alloggi e le locande parlando del più e del meno, alcuni sono stati vicini a Gesù: sono Maria e Giuseppe, i pastori, poi i magi. Impariamo da loro. Stanno con lo sguardo fisso su Gesù, con il cuore rivolto a Lui. Non parlano, ma adorano. Questa notte, fratelli e sorelle, è il tempo dell’adorazione: adorare.

L’adorazione è la via per accogliere l’incarnazione. Perché è nel silenzio che Gesù, Parola del Padre, si fa carne nelle nostre vite. Facciamo anche noi come a Betlemme, che significa “casa del pane”: stiamo davanti a Lui, Pane di vita. Riscopriamo l’adorazione, perché adorare non è perdere tempo, ma permettere a Dio di abitare il nostro tempo. È far fiorire in noi il seme dell’incarnazione, è collaborare all’opera del Signore, che come lievito cambia il mondo. Adorare è intercedere, riparare, consentire a Dio di raddrizzare la storia. Un grande narratore di imprese epiche scrisse a suo figlio: «Ti offro l’unica cosa grande da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento. Lì troverai fascino, gloria, onore, fedeltà e la vera via di tutti i tuoi amori sulla terra»  (J.R.R. Tolkien, Lettera 43, marzo 1941).

Fratelli e sorelle, stanotte l’amore cambia la storia. Fa’ che crediamo, o Signore, nel potere del tuo amore, così diverso dal potere del mondo. Signore, fa’ che come Maria, Giuseppe, i pastori e i magi, ci stringiamo attorno a Te per adorarti. Resi da Te più simili a Te, potremo testimoniare al mondo la bellezza del tuo volto.


domenica 10 dicembre 2023

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L'argomento dell'autorità è sempre il più debole

Autorità pagina FB FILOSOFIA 

L'argomento dell'autorità è sempre il più debole (Tommaso d'Aquino)
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Marisa Fenotti
Ma spesso il più efficace, purtroppo
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Umberto Carbonelli
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C'è un certo cinismo nell'Aquinate: lui era un'autorita', rappresentava l'autorita', nella scolastica Aristotele era l'Autorità e lui era un aristotelico.
Forse aveva ragione Ezra Pound a dire: l'Aquinate non aveva fede.
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Giorgio Pizzol
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Umberto Carbonelli il senso del discorso dell'Aquinate, a quanto capisco, è questo: gli argomenti forti sono soltanto quelli che si fondano sulla ragione. Direi che è un discorso rivoluzionario per la sua epoca; apre la via al libero pensiero.
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Umberto Carbonelli
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Giorgio Pizzol d'accordo; ma nel 1300 il libero pensiero era inconcepibile; ho usato 'cinismo' collocandolo nel suo tempo.
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Giorgio Pizzol
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Umberto Carbonelli questo pensiero è rivoluzionario anche oggi dato il clima conformista che si respira nella c.d.detta società civile e nelle accademie nelle quali prevale invece il pensiero secondo il quale gli argomenti autorevoli sono soltanto quel… 
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Umberto Carbonelli
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