lunedì 22 maggio 2023

La lingua italiana, un patrimonio da salvare











Per balbettar molte lingue si balbetta anche la propria, ridicoli un tempo agli stranieri e a noi stessi. Ugo Foscolo

L'italiano non è l'italiano: è il ragionare. Leonardo Sciascia

Una modesta proposta per la salvaguardia della lingua italiana in un disegno di legge presentato nel lontano 1991

SENATO DELLA REPUBBLICA- X LEGISLATURA- DISEGNO DI LEGGE N. 3046 d’iniziativa del senatore PIZZOL comunicato alla Presidenza il 13 novembre 1991 - Istituzione della Consulta nazionale per la lingua italiana -

Stralcio della relazione.

La lingua italiana è soggetta, come ogni altra, a continue trasformazioni connesse ai mutamenti che intervengono all'interno della società e quindi al variare dei costumi e dei modelli di comportamento.

I fattori di cambiamento di una lingua sono molteplici, tra di essi due appaiono di particolare rilievo soprattutto in questi ultimi decenni.

Un primo è costituito dalla necessità, o dall'opportunità, di designare con termini nuovi le nuove conoscenze, le nuove applicazioni, i ritrovati della scienza e della tecnica, come pure di designare le nuove forme o modalità in cui si svolge l'attività economica o l'organizzazione sociale e politica.

Un secondo fattore è costituito dallo scambio di vocaboli e di espressioni fra lingue diverse che si verifica in conseguenza della progressiva intensificazione delle relazioni fra persone e gruppi sociali di lingua diversa oggi consentita dai mezzi di comunicazione e di trasporto sempre più potenti e perfezionati.

Osserviamo, a questo riguardo, che detto scambio non si verifica su un piano di parità fra le varie lingue. Alcune presentano una maggiore capacità di esercitare la propria influenza sulle altre. Anzi, una sola lingua, la lingua inglese, a seguito delle vicende politiche e degli equilibri economici mondiali dell'ultimo secolo, ha già assunto un ruolo egemonico difficilmente contrastabile, per non dire che è già diventata strumento di comunicazione unico in tutto il pianeta.

Stante la su descritta situazione, non è tuttavia da ritenersi inevitabile o comunque prossima la scomparsa delle lingue nazionali. È del tutto plausibile invece ritenere che esse continueranno, per lungo tempo ancora, a svolgere una funzione insostituibile come strumento di comunicazione negli ambiti territoriali in cui si sono storicamente diffuse.

Né va trascurato il ruolo che esse possono e debbono svolgere per la conservazione e lo sviluppo dei patrimoni culturali delle rispettive comunità, patrimoni che sarebbe insensato distruggere o lasciar deperire in quanto fanno parte delle testimonianze della civiltà umana nel suo complesso.

Il presente disegno di legge, muovendo da queste considerazioni, si propone di portare un contributo alla tutela e alla valorizzazione della lingua italiana.

Nella elaborazione di una proposta concreta a tale scopo si sono voluti evitare sia i pericoli di un troppo rigido tradizionalismo sia quelli di una eccessiva innovazione.

Gli studiosi dell’evoluzione dei fenomeni linguistici hanno infatti ben evidenziato che una lingua che rifiuti pregiudizialmente di accogliere vocaboli ed espressioni nuove è condannata ben presto a perdere il contatto con il linguaggio corrente, e restando viva in cerchie sempre più ristrette, finisce con l’estinguersi. Così pure una lingua che muti troppo rapidamente, accogliendo senza alcun controllo neologismi ed esotismi, finisce per perdere la sua identità.

Per evitare i pericoli delle opposte tendenze è necessario pertanto individuare un modello linguistico capace di contemperare le esigenze della conservazione della tradizione con quelle dell’innovazione.

È evidente che un tale modello non risulta di facile definizione e che ogni scelta in questa materia presenterà sempre caratteri di soggettività.

Col presente disegno di legge si vuole affidare il compito di elaborare un modello linguistico di riferimento ad un apposito organo dello Stato dotato di personalità giuridica e di gestione autonoma: la Consulta nazionale della lingua italiana.

La Consulta dovrà promuovere, coordinare, disciplinare studi e ricerche sull’uso corrente e sui fenomeni evolutivi della lingua italiana; dovrà curare la raccolta di materiale bibliografico e documentario e dar vita a pubblicazioni nella materia indicata (art. 1 e 2); dovrà inoltre svolgere la funzione di consulenza permanente per la Pubblica amministrazione in materia di uso della lingua italiana (articolo. 3)

Compito fondamentale della Consulta sarà la redazione del Testo Ufficiale della lingua italiana composto di due documenti: il Dizionario ufficiale della lingua italiana e la Grammatica ufficiale della lingua italiana (articolo 4).

Il disegno di legge detta poi norme essenziali inerenti alla composizione degli Organi, all’organizzazione degli uffici e allo svolgimento delle attività della Consulta (articoli 5, 6, 7) e si conclude con la delega al Governo (articolo 8) ad emanare decreti legislativi per l’attuazione delle norme contenute negli articoli da 1 a 7.

Detto testo non è stato concepito come un atto normativo vincolante, garantito da prescrizioni e sanzioni, ma piuttosto come un insieme organico di proposte motivate per l’indicazione di un uso da ritenersi “corretto” della lingua nazionale. Lo scopo fondamentale quindi è quello di rendere un servizio a tutti gli utenti della lingua italiana sia per gli usi più modesti e quotidiani che per quelli più impegnativi delle varie attività della vita sociale, istituzionale, culturale.

Qui il testo completo del disegno: relazione e articolato.

Istituzione della Consulta nazionale per la lingua italiana

 

lunedì 8 maggio 2023

https://www.huffingtonpost.it/entry/ex-senatore-socialista-con-vitalizio-e-baby-pensione-sono-un-ladro-triplo_it_5ef83b69c5b6acab2842c3ac

Sono-un-ladro-triplo

"Ex senatore socialista, con vitalizio e baby-pensione. Sono un ladro triplo"

gedi
gedi 

mercoledì 26 aprile 2023

Un buon consiglio di Platone e di Papa Giovanni












“Infatti ora certo non stiamo gareggiando perché io voglio risultino vincenti le mie affermazioni e tu le tue, ma credo noi due dobbiamo lottare insieme in favore della pura verità” Platone (Filebo)

Platone, se non ho capito male, ci dà questo consiglio. Quando si discute intorno a un argomento qualsiasi non dobbiamo proporci di far prevalere le nostre tesi su quelle degli altri interlocutori, ma dobbiamo prestare attenzione agli argomenti di tutti partecipanti alla discussione allo scopo di arrivare, tutti insieme, alla conoscenza di una verità. Platone, sempre se non ho capito male, è convinto che esista la verità oggettiva. Egli pensa che la verità a volte è assolutamente evidente, come nelle verità della matematica, a volte è invece difficile da conoscere a causa dei limiti delle affezioni dell’animo e dei difetti delle nostre capacità intellettive; ad es. nel campo della bontà delle scelte delle nostre azioni, tema questo del dialogo intitolato Filebo. Per la ricerca mediante la discussione, il dialogo, intorno a queste verità non evidenti Platone ci invita ad adottare il “metodo” di discussione sopra descritto. Per me questo metodo è valido. La verità, una volta trovata, è di tutti. Tutti “vincono” nella discussione quando una verità viene conosciuta.

Di questi tempi è difficile incontrare “dialoghi” che adottino il metodo su indicato. Le discussioni sui giornali, alla Tv, nei social quasi mai sono dialoghi. Sono quasi sempre monologhi autoreferenziali: ognuno espone una tesi e, lungi dal prendere in considerazioni tesi che espongano opinioni diverse, mostra disprezzo per chiunque non si dichiari completamente d’accordo. Questo metodo non ha nessuna utilità, non consente una ricerca obiettiva in nessun campo. Anzi provoca solo risse fra coloro che parlano e produce nella società un atteggiamento di tipo manicheo: ognuno si schiera da una parte che ritiene assolutamente giusta e considera chi non la pensa come lui un agente delle forze del male assoluto.

Chi scrive si permette di consigliare l’adozione del metodo su descritto dal grande filosofo. Cercare la verità oggettiva con pazienza, rispettando lo sforzo compiuto da qualsiasi altro nella ricerca della verità. Verità che spesso è difficile da conoscere. Gli interlocutori in qualsiasi discussione devono sentirsi cercatori di verità, riconoscersi reciprocamente la buona fede e collaborare per trovare la via che conduce al vero in tutte le materie. In materia di ricerca scientifica e anche in materia di rapporti umani.

Le considerazioni sopra svolte ci fanno venire in mente l’insegnamento che leggiamo nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII – di cui quest’anno ricorre il 60esimo anniversario della pubblicazione – nella ricerca della verità della fede e della morale valida nei rapporti fra i singoli, fra i gruppi sociali e fra i popoli.

Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità.

Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno. Per cui chi in un particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non credono, o credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio

 


giovedì 13 aprile 2023

Lo stato della coscienza civile in italia

La disaffezione al voto non è che uno dei sintomi della caduta del senso delle istituzioni. In sintesi crediamo si possa dire che gli italiani sono sempre prontissimi a reclamare a gran voce il rispetto dei loro diritti ma non vogliono sentir parlare dell’adempimento dei loro doveri








 



di Giorgio Pizzol  12 Aprile 2023

Il 16 gennaio 2022 si sono svolte le elezioni per l’assegnazione del seggio alla Camera dei deputati nel Collegio uninominale Roma 1, rimasto vacante dopo l’elezione di Roberto Gualtieri a sindaco della Città. Si è recato alle urne soltanto l’11% degli aventi diritto.

Si tratta ovviamente di un caso limite e tuttavia il fatto appare un indicatore inequivocabile della progressiva caduta negli italiani del senso delle istituzioni. La tendenza descritta per altro è confermata nelle elezioni degli ultimi 30 anni.

La disaffezione al voto non è che uno dei sintomi della caduta del senso delle istituzioni. In sintesi crediamo si possa dire che gli italiani sono sempre prontissimi a reclamare a gran voce il rispetto dei loro diritti ma non vogliono sentir parlare dell’adempimento dei loro doveri.

In questa sede chi scrive vorrebbe tentare di individuare le cause del fenomeno su descritto e nello stesso tempo indicare qualche possibile rimedio.

Si tenterà qui di portare qualche contributo sul punto partendo dall’osservazione che il testo della Costituzione Italiana costituisce uno strumento impareggiabile per la formazione della coscienza civile dei cittadini. 

Ci poniamo ora questo interrogativo.

Come è possibile che il livello di educazione civile in Italia sia caduto così in basso se è vero – come è vero – che nel testo della Carta fondamentale è possibile leggere una chiara descrizione dei diritti che sono a tutti garantiti e dei doveri ai quali tutti si devono attenere sia per la realizzazione della propria personalità sia per la salvaguardia del bene comune?

Le risposte richiederebbero, come chiunque comprende, un esame approfondito della storia del nostro paese che va dall’entrata in vigore della Costituzione ai nostri giorni.

E tuttavia crediamo si possa affermare che la principale causa del problema in questione sia evidente agli italiani di qualsiasi età e condizione sociale. E questa causa può essere indicata con una sola parola: ignoranza. Gli italiani non conoscono la Costituzione. Una percentuale della popolazione che si aggira intorno al 60 per cento non sa neppure che la Costituzione esista e tra quelli che sanno che esiste sono pochissimi coloro che l’hanno studiata attentamente; mentre solo una ridottissima minoranza di questi ultimi, ai nostri giorni, è sinceramente convinto che si tratti della Costituzione più civile del mondo.

Constateremo comunque che tutti coloro che non conoscono la Costituzione non possono apprendere l’educazione civile che essa impartisce e prescrive.

A questo punto siamo costretti a porci un ulteriore quesito. Come è potuto accadere che la conoscenza della Carta fondamentale sia così scarsa quando l’articolo 54, prescrive chiaramente: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

Una prima anche se parziale risposta al quesito la possiamo trovare leggendo attentamente l’articolo appena citato. Esso ci consente di individuare a chi va imputata, in buona parte, la responsabilità per l’ignoranza degli italiani in materia di Costituzione. L’articolo infatti, nella seconda parte, ci dice che vi sono “cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche che devono essere adempiute con disciplina e onore”. Tra queste vi è senza dubbio l’importantissima funzione comunemente denominata “pubblica istruzione”. L’esercizio di tale funzione spetta ad un particolare organo del Governo e al relativo apparato amministrativo. Ai titolari di questa funzione spetta dunque il dovere di predisporre i mezzi, le forme e programmi di studio che consentano agli studenti di ogni ordine e grado, a partire dalla prima infanzia, di ottenere un’adeguata conoscenza della Costituzione: della sua storia e delle sue norme.

In base all’esperienza personale, chi scrive ritiene di poter dire, con molta amarezza, che, salvo lodevoli ma rarissime eccezioni, la Costituzione Italiana non è mai entrata nelle scuole italiane.

Assodato che una grossa parte di responsabilità del problema di cui parliamo va attribuita ai titolari della funzione della pubblica istruzione, riteniamo sia doveroso dire che il compito di far conoscere la Costituzione spetta anche ad altre importantissime componenti della società italiana.

Chiunque comprende che il compito in esame spetta in misura assai rilevante a coloro che hanno il potere di disporre dei mezzi di informazione e di comunicazione di massa, i così detti “media”, soprattutto la stampa e le emittenti radio-televisive.

L’esame del comportamento dei responsabili di questi mezzi (editori, direttori, giornalisti) in relazione al tema di cui parliamo richiede un discorso che dovrà essere trattato in un articolo a parte. Ci limiteremo qui a constatare che i media più potenti, specialmente negli ultimi 30anni, non solo non hanno diffuso la conoscenza della Costituzione, ma si sono impegnati in campagne denigratorie delle Istituzioni costituzionali facendo opera di disinformazione, e inducendo l’opinione pubblica a pensare che la Costituzione approvata dall’Assemblea Costituente nel 1947 non sarebbe adeguata alle esigenze della società italiana attuale. Costoro hanno parlato di Costituzione solo per dire che essa andava cambiata.

Si potrebbe dire perciò che i grandi media invece che osservare il dovere di fedeltà alla Costituzione dettato dall’art. 54 lo hanno clamorosamente e sistematicamente violato. Ma su questo fenomeno come dicevamo occorre svolgere un discorso più articolato.

Un’ultima considerazione.

Un cittadino comune che non ha cariche pubbliche e non ha nessun potere di disporre dei mezzi di informazione potrebbe pensare di non essere responsabile della propria ignoranza in materia di Costituzione. Eppure crediamo che anche questo cittadino debba fare un attento esame di coscienza e prendere atto che non può sentirsi del tutto esente da responsabilità. Osserviamo. Ogni cinque anni si svolgono elezioni politiche per il rinnovo delle Camere. Ogni cinque anni per il rinnovo dei Consigli regionali e Comunali. Quindi, poiché le scadenze quinquennali non coincidono, almeno ogni due anni e mezzo ogni cittadino italiano maggiorenne viene chiamato con avvisi pubblici ad esprimere il suo voto per la scelta delle cariche pubbliche rappresentative nazionali e locali.

Per quanto poco egli possa sapere sulla Costituzione egli non può non sapere che ha il diritto (e il dovere) di votare e che soltanto quei cittadini che egli sceglierà saranno quelli cui sono affidate le funzioni pubbliche di cui parla l’art. 54. Quindi se avrà scelto cittadini che non rispettano l’articolo stesso egli sarà con loro responsabile dell’inadempimento.

In conclusione, della mancata osservanza dell’art. 54 sono responsabili tutti i cittadini italiani che dal 1948 ad oggi sono andati a votare e hanno scelto, in maggioranza, i loro rappresentanti nelle pubbliche istituzioni.

Resta il fatto che oggi la stragrande maggioranza degli italiani ignora colpevolmente la Costituzione Italiana e ignorandola non apprende l’ottima educazione civile che essa impartisce e prescrive. Se questa situazione perdura quindi gli italiani resteranno sempre educati male o male educati. E ciò non promette niente di buono per la nostra Patria.

https://www.pensalibero.it/lo-stato-della-coscienza-civile-in-italia/
 

mercoledì 5 aprile 2023

L'inquietante caso di Giuda Iscariota


 

L’inquietante destino di Giuda Iscariota

Giuda compie il tradimento di Cristo, atto necessario per volontà soprannaturale, alla salvezza dell’umanità intera e non può ottenere perdono. Inevitabile il paragone col tradimento di Pietro. Il quale non solo viene perdonato ma viene scelto da Gesù stesso per il compito più importante: quello di Capo della Chiesa, il massimo rappresentante della comunità nella quale Cristo continua a vivere nel mondo.

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 26,14-25

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli“». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbi, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

Rileggiamo: «Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». 

Il Figlio dell'uomo, Gesù, dunque doveva morire come avevano previsto i Profeti di Israele. Per morire doveva essere tradito da qualcuno. Se nessuno avesse tradito Gesù le profezie non si sarebbero potute avverare e Gesù non avrebbe potuto compiere la sua missione: salvare l'umanità dal peccato originale.

Giuda si assunse dunque il compito terribile di tradire il Maestro. Era un compito "assolutamente necessario" come avevano detto i Profeti per il riscatto di tutta l'umanità. 

Perché dunque Gesù dice "Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato"?

Impossibile non pensare che se qualcuno era meritevole di misericordia e quindi di perdono era proprio Giuda.

Invece sappiano che Giuda morì suicida nonostante il pentimento. 

Come raccontano rispettivamente Matteo 27, 3-10 e Atti degli Apostoli.

Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!». Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: «Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue». E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu denominato "Campo di Sangue" fino al giorno d'oggi. Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: "E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore". 

"Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, cioè "Campo di Sangue"

Ben altro destino viene invece riservato a Pietro che pure aveva tradito tre volte. Non solo viene perdonato ma viene scelto da Gesù stesso per il compito più importante: quello di Capo della Chiesa, di massimo rappresentante della comunità nella quale Cristo continua a vivere nel mondo.

 





domenica 12 marzo 2023

La Logica elementare

La prima regola del pensare, la regola di tutte le regole, il codice di tutti i codici 

Tesi.

Nel concetto di una molteplicità di unità” o di “composizione” possiamo individuare la prima regola del pensare, una regola valida per tutti gli esseri pensanti, in tutti i tempi e in tutti i luoghi.

Osserviamo. Si può descrivere il concetto su indicato mediante la formula:

A + B = C

Con A e B è possibile indicare due qualsiasi unità e con C è possibile indicare la composizione (il gruppo, l’insieme) di A e B.

Rileveremo così che: pensando A+B pensiamo precisamente alla molteplicità di due unità; pensando C pensiamo ad un’unità composta da A e da B e quindi, ancora, alla molteplicità di due unità.

La formula in esame ci mostra poi:

  • che A, B, C, sono pensate ciascuna come unità determinata;
  • che risulta assolutamente impossibile pensare che C non sia composto da A e B dopo aver pensato A + B = C.

Osserviamo pertanto che il nostro pensare nel suo svolgersi segue necessariamente e invariabilmente due principi: il principio di determinazione (o determinatezza) e il principio di coerenza (non contraddizione).

Osserveremo in particolare che la formula in parola ci consente di vedere con la massima chiarezza come la prima regola del pensare risulti effettivamente sempre pensata per prima. Risulti cioè già pensata prima della formazione di qualsiasi pensiero intorno a qualsiasi cosa.

Si può rilevare facilmente infatti che per pensare A e B singolarmente e distintamente e come unità “determinate” è necessario pensare ciascuna di quelle unità anche come unità composta da propri elementi o unità componenti.

Si rileva pertanto che per pensare qualsiasi unità come determinata è necessario impiegare il concetto di composizione ossia il concetto di una molteplicità di unità, la prima regola del pensare: A + B = C.

Ancora più precisamente rileveremo che anche per pensare gli elementi (o unità componenti) di A e di B è ugualmente necessario aver pensato prima che anch’essi siano, a loro volta, unità composte da propri elementi, e lo stesso accadrà per pensare gli elementi che compongono tali elementi e gli elementi di questi ultimi e così via.

Dunque il pensare A+B=C risulta sempre pensato prima che si sia pensato intorno a: qualsiasi unità determinata; qualsiasi unità composta; qualsiasi molteplicità di unità; qualsiasi unità o cosa.

Rilevato quanto sopra, non sarà difficile rilevare che il concetto in esame contiene in se stesso come propri corollari le seguenti regole o principi che risultano comunemente accettati come fondamenti indubitabili di tutti quei discorsi che chiamiamo RAGIONAMENTI:

  1. se A è uguale a B e B è uguale a C allora A è uguale a C;
  2. se A contiene B e B contiene C allora A contiene C;
  3. se A, B, C contengono M allora A, B, C, in riferimento e limitatamente a M, sono uguali.

Riteniamo pertanto che la regola descrivibile con la formula A+B=C meriti di essere giudicata e denominata la Regola di tutte le regole del pensare o anche come Logica prima, o come la Logica base di tutti i ragionamenti, o anche puramente e semplicemente come la Logica.

Qui ci permetteremo di attribuirle il nome di LOGICA ELEMENTARE perché essa è costituita dai primi elementi di ogni atto del pensare.

Noteremo con l’occasione che in riferimento a detta regola “tutte le operazioni del pensiero” (nessuna esclusa) possono essere giudicate come “logiche” (logicamente corrette, logicamente giuste) o “non logiche” (illogiche, incoerenti, contraddittorie) in tanto in quanto abbiano rispettato o meno nel loro svolgimento la composizione della regola stessa.

Ci si pone ora il seguente interrogativo. È possibile pensare ad una logica diversa, ad altre logiche che non rispettino la logica descritta dalla formula A+B=C?

La risposta ci è fornita già dai risultati delle osservazioni già svolte ed è (evidentemente e indubitabilmente): no.

Osserveremo infatti che per pensare ad una logica (come prima regola del pensare) che sia altra nel senso di distinta e diversa da quella in esame dobbiamo tentare di pensare ad un confronto fra l’unità o composizione del pensiero costituita dalla logica A+B=C e un’altra unità o composizione pensabile come distinta e diversa da detta operazione. Constatiamo subito che questo tentativo non si può svolgere se non partendo dal concetto di composizione ossia precisamente dal concetto di una molteplicità di unità vale a dire di A+B=C e quindi non si può svolgere se non per mezzo della medesima logica sulla quale tentiamo di dubitare.

La Logica di cui parliamo risulta dunque pensata come:

  • originaria in quanto necessariamente prima, non derivata né derivabile da altre regole;
  • assoluta in quanto fondata su se stessa, ed escludente qualsiasi altra regola diversa che ne costituisca il fondamento;
  • universale in quanto uguale per tutti gli esseri o soggetti pensanti in ogni tempo e luogo.

Gli argomenti sopra esposti, consentono, a sommesso parere di chi scrive, di giudicare come dimostrata la teoria sopra enunciata.

Si ammetterà naturalmente che la teoria stessa resti aperta a ogni possibile discussione.

Chi scrive si limita ad esprimere questa discutibile opinione. La logica elementare si presenta come uno strumento che ci consente di distinguere i discorsi logici da quelli che non lo sono. E con ciò rende più facile la soluzione di un numero molto alto di problemi grandi e piccoli del vivere umano.

(Brano dal libro Pensiero del limite e limite del Pensiero di Giorgio Pizzol)

https://www.libreriauniversitaria.it/ebook/9791221427240/autore-giorgio-pizzol/ebook-pensiero-del-limite-e-limite-del-pensiero.htm

https://www.youcanprint.it/pensiero-del-limite-e-limite-del-pensiero/b/bbd15de4-0a24-595b-aadf-996ce9a2282b

https://play.google.com/store/books/details?pcampaignid=books_read_action&id=OEqHEAAAQBAJ

 



sabato 4 febbraio 2023

Marx antropologo o psicologo sociale


https://www.facebook.com/sorgente.melania

“Ogni uomo s' ingegna di procurare all' altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.“
Karl Marx, “Manoscritti economico-filosofici”.


Giorgio Pizzol
Sorgente Melania, non conoscevo questa citazione dei Manoscritti economico-filosofici” di Marx. Grazie davvero per averla postata. La riporto nuovamente per sottolinearla. “Ogni uomo s'ingegna di procurare all'altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.“ Osservo che questo discorso di Marx ha carattere "antropologico" o di "psicologia sociale" più che "marxista". In esso infatti Marx dice "ogni uomo" procura ad "ogni altro" nuovi bisogni. Ciò che significa che il fenomeno in questione non è causato dalla divisione in classi della società ma dalla stessa natura umana, dall'impulso naturale al dominio presente -secondo Marx - in ogni uomo. Nelle successive opere di Marx si legge che è la classe borghese , il sistema capitalista, che determina rapporti di produzione tali da consentire lo sfruttamento degli sfruttati . A ben guardare sembra addirittura che in questo passo Marx anticipi il pensiero di Marcuse sul fenomeno del consumismo, verificatosi in una fase successiva dello sviluppo capitalistico, negli anni '60 (più di cento anni dopo i Manoscritti di Marx). Io non sono uno specialista ma a suo tempo avevo consultato un po' di letteratura marxista. Questo passo, di per sé, ci svela clamorosamente che esiste un Marx che nel 1844 è più avanti del Marx del 1848 e del 1867 e anzi ha previsto il consumismo, studiato da Marcuse. Un Marx che afferma addirittura che l'alienazione consumistica non è conseguenza del capitalismo, ma deriva da un dato della natura profonda (dalla psiche) dell'essere umano. Non mi risulta che gli studiosi di Marx, che negli anni 50-60-70-80 del 1900 abbondavano nelle facoltà di filosofia, di economia, di scienze politiche, di lettere, di sociologia e dirigevano le riviste specializzate delle stesse materie abbiano mai dato risalto a questo testo. (Naturalmente io ammetto essere non sufficientemente informato in materia). Oggi però che il passo lo conosciamo, per merito di Sorgente Melania sarebbe bene che qualcuno degli studiosi della materia gli dedicasse qualche studio.

Spendiamo di più per dimagrire che per mangiare

Post Fb di Mauro Suttora sab 4 feb 2023


Spendiamo di più per dimagrire che per mangiare


  • Giorgio Pizzol
     Non stento a crederlo. Contraddizioni del sistema capitalista contemporaneo.

    • Mauro Suttora a Giorgio Pizzol mo che c'entra il capitalismo. Siamo noi che mangiamo come maiali e poi vogliamo dimagrire
      • Giorgio Pizzol a Mauro Suttora , il sistema produce in grande quantità cibo spazzatura e ne stimola in tutti i modi il consumo. Il consumo eccessivo di cibo spazzatura genera obesità crescente. Si crea così il bisogno di dimagrire per una massa crescente di popolazione. Ecco che si apre un nuovo mercato per i prodotti e le cure dimagranti che sono molto più costosi del cibo spazzatura. Elementare. Questo è il funzionamento del mercato capitalista globale ai giorni nostri da almeno 40anni. E sembra che peggiori di giorno in giorno.
    • Mauro Suttora a Giorgio  se è per questo il 'sistema' consumistico esiste da 70 anni, con relative critiche sociologiche da Marcuse a Erich Fromm, fino a Gaber ('Polli d'allevamento') e Pasolini.Ma ciascuno di noi è libero di non farsi lavare il cervello da pubblicità e persuasori occulti
    • Giorgio Pizzol a Mauro Suttora , anch'io penso che ogni persona capace di intendere e di volere può resistere alle sollecitazioni del mercato e dei persuasori più o meno occulti. Ma resta il fatto che la stragrande maggioranza delle persone non resiste. Per questo si mette in moto il circolo vizioso sopra descritto. Il numero degli obesi continua ad aumentare e il fatto preoccupante è che aumenta tra i giovani e i bambini.
    • Il problema più grave, a mio parere, sta nel fatto che un numero crescente di persone non è più capace di pensare con la propria testa e si conforma spontaneamente ad uno stile di vita distorto e dannoso per la salute. 
    • Io non sono certo in possesso di una ricetta per combattere questa malattia sociale. Ma sono convinto che un'inversione di tendenza sarebbe forse possibile se si diffondesse la capacità di riflettere sulle contraddizioni del sistema capitalista il quale antepone il valore del mercato al valore della salute. 
    • Si tratta di diffondere una "cultura" che invece anteponga il valore della salute a quello del mercato. 
    • Non penso che sia necessaria una "rivoluzione". Questa cultura potrebbe (dovrebbe) essere promossa nella scuola pubblica e privata e nella stampa libera. Tempo fa un mio amico mi disse: "Con questa cultura tu mandi in rovina l'economia mondiale". 
    • Io gli risposi: "Ma salvo la salute della gente". 
    • Ai posteri l'ardua sentenza.