mercoledì 30 marzo 2022

A due a due



Nous n'irons pas au but un à un mais par deux
Nous connaissant par deux nous nous connaîtrons tous
Nous nous aimerons tous et nos enfants riront
De la légende noire où pleure un solitaire.
                                                Paul Eluard Le temps déborde (1946)

Non giungeremo alla meta ad uno ad uno ma a due a due 
Se ci conosceremo a due a due noi ci conosceremo tutti
Noi ci ameremo tutti e i nostri figli rideranno
Della leggenda nera dove un uomo è solo e piange.

                                                      Paul Éluard (1895-1952)
(traduzione libera )

Invidio questo poeta-filosofo per questi versi. Ha scritto, in poche righe, un trattato completo di filosofia morale. Una filosofia semplice, comprensibile da tutti, in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

Più che per la bellezza apprezzo questa poesia per il concetto che essa esprime. Essa, a mio parere, espone e propone infatti un particolare metodo per la comunicazione tra gli esseri umani.

Il poeta, a mio parere, ha voluto dire che le persone incontrandosi mentre compiono il cammino della loro vita possono trovare il modo di mettersi una di fronte all'altra, a due a due, e comunicarsi reciprocamente il proprio sentire, il proprio pensare, il proprio modo di vedere il mondo.

Quando due persone avranno avuto modo di compiere questa esperienza ognuna di esse sarà in grado di conoscere quanto vi è di comune e di diverso e nel sentire e nel pensare di ciascuna. Quante più volte l’esperienza sarà ripetuta tanto più alta sarà per ogni persona la capacità di conoscere quanto di uguale e quanto di diverso vi è nel sentire e nel pensare di ogni altra che avrà avuto l’occasione di incontrare.

In sintesi, qualunque persona sia capace di rapportarsi “a due a due” svilupperà la sua capacità di conoscere e di comunicare con qualsiasi altra. E quindi di amare e di essere amata da ogni altra. Vale a dire la capacità di vivere amando la vita e il bene proprio e, nello stesso tempo, la vita e il bene altrui.

Il risultato di questo modo di conoscersi e amarsi reciproco degli esseri umani, in ogni caso, sarà

quello di vincere quella terribile sofferenza che viene causata dal “senso di solitudine”. Una sofferenza che, forse, è più acuta di quella causata dalla paura della morte.

Può essere naturalmente che questa idea di Eluard sia solo un'utopia. A chi scrive piace pensare che l'idea sia buona e realizzabile concretamente e che essa sia tale da far sorridere i nostri posteri sul tempo in cui gli uomini erano succubi della leggenda nera dove un uomo è solo e piange.

giovedì 3 marzo 2022

I due fanciulli


Era il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d'oro
dell'ombroso viale, i due fanciulli.

Nel gioco, serio al pari d'un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de' tigli,
tra lor parole grandi più di loro.

A sé videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l'uno e l'altro, esangue,
ne' tenui diti si trovò gli artigli,

e in cuore un'acre bramosia di sangue,
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l'uno dell'altro per il volto, il sangue!

Ma tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,

ed «A letto» intimasti «ora, cattivi!»

A letto, il buio li fasciò, gremito
d'ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d'ogni angolo al labbro alzino il dito.

Via via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.

L'uno si volse, e l'altro ancor, leggero:
nel buio udì l'un cuore, non lontano
il calpestìo dell'altro passeggero.

Dopo breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.

Guardò sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l'uno all'altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;

e rincalzò, con un sorriso, il letto.

Uomini, nella truce ora dei lupi,
pensate all'ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a' silenzi cupi

che regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d'un'ape dentro il bugno vuoto.

Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d'aver fratelli in suo timor, non erra.

Pace, fratelli! e fate che le braccia
ch'ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.

E buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini

la Morte con la sua lampada accesa.

Giovanni Pascoli (1855-1912)

Questa poesia veniva imparata a memoria durante la scuola elementare e media negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Il suo contenuto è facilmente comprensibile. L’impulso ad aggredirsi e a uccidersi è nel cuore degli uomini, anche fratelli, fin dalla prima infanzia. Ma nel cuore degli uomini c’è anche l’impulso ad abbracciarsi e a proteggersi reciprocamente dalla morte che aspetta tutti alla fine della vita.
Troppo facile dire, con Giovanni Pascoli, che il primo impulso va represso e il secondo va coltivato?