martedì 21 giugno 2022

Tra menzogna e ironia di Umberto Eco

Recensione

Umberto Eco nella prefazione dice di aver unito in questo libro quattro saggi (pubblicati in epoche e in sedi diverse -.tra il 1986 e il 1991-) perché hanno in comune l’analisi di fatti e discorsi che riguardano: “strategie di menzogna, travestimento, abusi del linguaggio, capovolgimento ironico di questi abusi”.

Recensire un’opera – sia pure tra le minori – di uno scrittore come Umberto Eco, uomo dall’erudizione sterminata, principe dei critici letterari, autore di romanzi tradotti in tutto il pianeta, membro delle più prestigiose istituzioni accademiche internazionali è un’impresa da far “tremare le vene e i polsi” anche a ad un critico professionista di lungo corso.

Tuttavia, tenteremo di superare il nostro timore reverenziale nei confronti di tanto maestro, sorretti dal pensiero che sia possibile trovare il filo conduttore che ci permetta di attraversare il labirinto in cui Eco ci conduce con i suoi artifici “semiosici” e “semiotici”. Ciò al fine di portare, nel nostro piccolo, un contributo ai alla comprensione di questo libro e dei validi messaggi che esso ci trasmette.

Come dicevamo, si tratta di quattro saggi scritti in tempi diversi e riferiti a quattro personaggi diversi: Cagliostro, Alessandro Manzoni, Achille Campanile, Ugo Pratt.
Il tema, in estrema sintesi, è quello della menzogna osservata nella vita e nelle opere dei quattro personaggi.
Esamineremo ora il discorso di Eco, seguendo un ordine diverso partendo dal “grado di menzogna” riscontrabile in riferimento a ciascuno dei personaggi in parola.

Cagliostro. Va collocato al primo posto perché “mente con la parola, con gli abiti, col comportamento, e mentono su Cagliostro le leggende che lo hanno trasformato da piccolo avventuriero… in mito, simbolo del libero pensiero, vittima dell’oscurantismo clericale”. Umberto Eco ci porta a riflettere su un paradosso creato dalla letteratura. Un uomo, vissuto per tutta la vita come un volgare truffatore, che ha mentito sempre per motivi abbietti, diventa, a seguito di biografie “menzognere”, diffuse da decine di scrittori (tra i quali spicca Dumas), un mito positivo. Ironia di Eco e della storia.

Ugo Pratt. È un “mentitore buono” nel senso che tutti coloro che leggono le storie dei suoi fumetti sanno perfettamente che le sue menzogne non sono inganni che possano recare danno a qualcuno, ma sono finzioni di fantasia prodotte per “divertire”. Eco sembra tuttavia rimproverare a Pratt di mentire senza validi motivi sulla collocazione geografica dei luoghi delle storie raccontate. Ma si tratta di un peccato veniale.

Campanile. Anche in questo caso siamo di fronte a un “mentitore buono”. Un umorista che inventa situazioni comiche con lo scopo di divertire ma anche – e qui sta il suo merito particolare – per richiamare ironicamente la nostra attenzione su aspetti del vivere umano che in sé, purtroppo, non hanno nulla di divertente e sono per tutti – in tutti i tempi e luoghi – terribilmente seri, e fonte di sofferenza. Per fare un solo esempio la paura della morte. Campanile con le sue invenzioni umoristiche e ironiche ci reca un po’ di sollievo da queste sofferenze.

Manzoni. Il grande Manzoni non mente mai. Mente solo “apparentemente” perché ricorre appunto all’ironia. E a questo proposito ci permettiamo di esporre l’opinione che l’ironia possa essere utilizzata come strumento prezioso per combattere la menzogna e i danni che essa produce all’umana convivenza. L’ironia, come è noto, è una figura retorica, mediante la quale diciamo il contrario ci ciò che pensiamo, ma lo facciamo per esprimere con più efficacia ciò che “veramente” pensiamo. Stiamo parlando ovviamente dell’ironia benevola, quella usata da per evitare i danni prodotti dal mentire. (Non parleremo qui, per brevità, dell’ironia malevola usata per offendere l’interlocutore che sicuramente non troviamo in questo scrittore). In ogni caso il discorso ironico è sempre un discorso “sincero”. Umberto Eco ci fa notare che Manzoni ha fatto della sincerità un principio morale supremo e che merita di essere considerato “un grande” proprio per la sua capacità di smascherare il “linguaggi menzogneri; soprattutto quelli usati dai potenti per opprimere gli umili.

Umberto Eco è un autore che non ha paura di far soffrire i suoi lettori nel farli sentire “ignoranti”, o per meglio dire, “incolti”. Chi vuol leggere Eco deve armarsi di fonti enciclopediche e di grande pazienza. Non sta a chi scrive esprimere giudizi su questo modo di porgersi di un autore che è arrivato ai vertici dell’autorità culturale ufficiale.
Chi scrive si limiterà sommessamente a osservare che Eco non usa nel suo lavoro il “Rasoio di Occam”. Non rispetta il principio «Non moltiplicare gli elementi più del necessario.» Eppure Guglielmo di Occam è il filosofo che ha ispirato a Eco il romanzo che lo ha reso famoso in tutto il mondo, Il nome della rosa. È il caso di dire ironia della storia?

Giorgio Pizzol

 


sabato 11 giugno 2022

Amate i vostri nemici



Pensieri di un catecumeno del XXI secolo

Nel Vangelo secondo Matteo leggiamo : “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico, ma io vi dico…”  Gesù dichiara dunque di voler correggere la “Legge antica” data dall’Onnipotente al popolo ebraico mediante l’introduzione di un “comandamento” nuovo e diverso. Un comandamento che di per se stesso trasforma radicalmente la legge vigente.

Osserviamo attentamente: la legge antica ordinava di amare il prossimo ossia le persone che ci vivono accanto, i connazionali e correligionari mentre ordinava di odiare “i nemici”. Gesù invece col nuovo comandamento ci ordina di amare nemici e perfino di pregare per coloro che ci perseguitano. Il Maestro fornisce anche le motivazioni in base alle quali si deve ottemperare al nuovo comandamento dicendo: “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?” E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?

I pubblicani, come sappiamo erano gli esattori delle tasse per conto di Roma ed erano odiati e disprezzati dagli ebrei dell’epoca in quanto servitori di una potenza straniera oppressiva e perché spesso abusavano del loro potere per estorcere denaro ai contribuenti. Erano considerati un esempio tipico di “peccatori”.

In sintesi Gesù ci spiega. Perfino i peccatori abituali come i pubblicani e anche coloro che non appartengono al popolo ebraico, i pagani, sono capaci di amare “il prossimo”. Io vi ordino invece di amare coloro che non sono il vostro prossimo, che non appartengono al nostro popolo, e anzi vi ordino di amare i nemici e coloro che vi hanno fatto e vi stanno facendo del male.

Nel Vangelo secondo Luca leggiamo poi: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano”.

Il comandamento dunque è chiaro e implica che nessuna guerra è lecita perché non esiste nemico e se esiste deve essere amato come il prossimo.

Daremo ora uno sguardo rapidissimo al modo in cui i “cristiani”, ossia coloro che sono stati educati secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo, lo hanno osservato concretamente nei 2000 anni e oltre che ci separano dall’epoca in cui è stato predicato.

È noto che i primi cristiani per obbedire al comandamento di cui si parla si rifiutavano di prestare servizio militare a costo di subire il martirio. L’attività di militare era giudicata dalle autorità religiose cristiane dell’epoca incompatibile con l’ammissione alla comunità dei cristiani.

La tradizione narra dei Diecimila martiri. Diecimila soldati convertiti al cristianesimo da S. Acacio o Agazio (m. 303) che abbandonarono il servizio militare e per questo vennero crocifissi sul Monte Ararat in Armenia per ordine dell'imperatore. Forse si tratta, in parte, di leggenda. Tuttavia moltissimi sono i casi, storicamente accertati, di cittadini romani che per aver rifiutato di impugnare le armi dopo la conversione al cristianesimo furono condannati a morte.

Nell’anno 313, in forza dell’Editto di Milano degli imperatori Costantino e Licinio, il Cristianesimo divenne religione ammessa dallo stato. Successivamente nell’anno 380, gli imperatori Teodosio, Graziano e Valentiniano, con l’editto di Tessalonica, proclamarono il Cristianesimo religione ufficiale dell’Impero.

Da questa data, a rigore di logica, il comandamento “amate i vostri nemici.” avrebbe dovuto essere prescritto dalla legge dallo stato all’epoca più potente ed esteso del mondo antico. Uno stato che abbracciava, attorno al Mare Mediterraneo, i continenti di Europa Asia e Africa.

Credo sia doveroso constatare che in realtà il comandamento è stato non solo ignorato ma clamorosamente trasgredito dai cristiani. La storia dell’Europa è storia di guerre tra i cristiani. Il secolo scorso ha visto le due guerre mondiali fra stati cristiani nel corso delle quali sono state usate le più alte conquiste della scienza e della tecnica, tra cui l’energia atomica, per compiere immani e orribili stragi di vite umane.

Oggi, nell’anno di grazia 2022, vari stati cristiani in Europa si stanno un’altra volta dilaniando vicendevolmente in una guerra assurda.

E il comandamento? Fino ad una sessantina d’anni or sono erano molti - cristiani e non cristiani - a pensare e a dichiarare con convinzione: “Il fatto che il comandamento sia stato ripetutamente trasgredito non significa che sia stato abrogato; esso è ancora vigente e d’ora in avanti, visti gli errori del passato, noi ci impegneremo con tutte le nostre forze a rispettarlo.”

Secondo quanto risulta a chi scrive, oggi le persone che si dichiarino d’accordo con l’opinione su esposta sembrano ridotte ad un numero paurosamente esiguo. Resta comunque assodato che il comandamento è vigente e giustifica un sia pur lievissimo filo di speranza.

Giorgio Pizzol

* In copertina:  Diecimila crocifissi del monte Ararat, dipinto di Vittore Carpaccio, 1515, VeneziaGallerie dell'Accademia.



venerdì 3 giugno 2022

Il concetto di diritto e di stato di diritto








(Appunti per un ciclo di lezioni sull’ordinamento giuridico italiano dedicato agli alunni della scuola media inferiore)

Il concetto, la nozione, di che cosa intendiamo con la parola diritto, appare già presente nella mente di ogni essere umano.

Osserviamo. Possiamo riscontrare nella comune esperienza che chiunque possiede le seguenti nozioni.

  1. La vita di ogni persona si svolge in un continuo rapporto con la vita di molte altre; all’interno di un gruppo (di un insieme di gruppi) di persone che chiamiamo SOCIETÀ;
  2. È bene (è utile, è conveniente per ciascuno e per tutti insieme) trovare “forme” (modi) di comportamento, ossia REGOLE, seguendo le quali ad ogni membro sia garantita l’osservanza del principio enunciabile con le parole “uguale libertà e uguale responsabilità”: ogni persona deve essere rispettata nella sua libertà di scegliere come vivere e nello stesso tempo deve rispettare la libertà di ogni altra di scegliere come vivere.
  3. che è bene (è utile è conveniente per tutti) che si costituisca un’organizzazione sociale stabile per mezzo della quale sia possibile porre in essere, “dettare” LEGGI (testi scritti) che contengono le regole di comportamento o norme, necessarie a garantire l’attuazione del principio “uguale libertà, uguale responsabilità”.

Possiamo dire ora che i concetti sopra esposti costituiscono “i fondamenti” del diritto e su di essi il diritto può essere posto, “dettato”, (come si è detto sopra al punto n. 3) da un’Organizzazione stabile della società che, da circa due secoli, è stata denominata col termine STATO.

La parola stato trova la sua origine nella stessa radice delle parole “stabile e “stare”, che esprimono il concetto di “essere fermo”.

Le prime forme di quel tipo di organizzazione sociale a cui diamo oggi il nome di “stato” si riferiscono appunto al realizzarsi di forme organizzative stabili nel tempo.

Storicamente si sono realizzati vari tipi di organizzazioni stabili (Es. la polis, città stato, in Grecia, la Res Publica a Roma, il sistema feudale) nelle quali però il principio "uguale libertà, uguale responsabilità" non era né espressamente riconosciuto né effettivamente praticato e rispettato. L’affermazione di questo principio nella storia umana è avvenuta gradualmente e secondo un andamento non uniforme (anzi secondo un andamento ora progressivo ora regressivo) nelle varie regioni della terra e nelle varie epoche.

Possiamo rilevare che per molti secoli nelle diverse forme organizzative spontanee (che comunemente chiamiamo “popoli”) si otteneva un’organizzazione stabile soprattutto mediante il dominio di uno o più gruppi sociali (caste o classi nobiliari) sul resto della popolazione. Dominio esercitato in parte con l'uso della "forza" (delle armi) in parte attraverso un "consenso" ottenuto con diversi strumenti (soprattutto a seguito dell’adesione della popolazione a tradizioni consolidate fondate in prevalenza su concezioni religiose).

Soltanto con l'inizio dell'epoca contemporanea (1789) assistiamo all’instaurarsi di organizzazioni sociali stabili alle quali possiamo dare il nome di “stato”, nel significato di struttura organizzativa stabile che riconosce come proprio fondamento il principio di "uguale libertà, uguale responsabilità".

Tali Stati infatti si sono “auto-fondati” approvando un Atto costitutivo (o costituzione) nel quale si dichiara espressamente di riconoscere e garantire detto principio.

Nasce così quella forma organizzativa stabile, attualmente diffusa oggi in moltissimi paesi, che chiamiamo STATO DI DIRITTO: in essa il concetto di diritto e il concetto di stato sono complementari: ognuno dei due è fondamento dell’altro.

Questi concetti su cui si fonda lo stato di diritto.

  1. Lo Stato si proclama come “autorità originaria” (non derivata da nessun’altra autorità) e come la “fonte unica” del Diritto, della Legge, ossia delle norme di comportamento che debbono essere osservate dalle persone che vivono nel territorio sul quale esso esercita la sovranità.
  2. Stabilisce che gli Organi rappresentativi dello Stato mediante i quali esso esercita la sua attività rimangono assoggettate alle norme del Diritto dettato dallo Stato.
  3. Detta apposite norme mediante le quali vengono predisposti appositi organi cui è affidato il compito di garantire l’osservanza della Legge (a partire dalla Legge che sta a fondamento di tutte le leggi, la Costituzione)

 

Il concetto espresso punto B sopra riportato merita una particolare attenzione. Osserviamo infatti che in esso si riscontra il principio fondamentale, dello “stato di diritto”. Principio che è stato denominato Principio di legalità.

In base a detto principio tutte quelle persone che hanno titolo, cioè il potere in base alla Legge, di agire in rappresentanza dello Stato sono comunque obbligate ad osservare le norme di legge che hanno loro conferito il potere stesso. Va precisato che dette persone sono comunque tenute a rispettare le leggi che lo stato ha approvato in qualsiasi materia come qualsiasi altra persona.

Nello stato di diritto quindi tutti sono soggetti alla legge, nessuno è al di sopra la legge.

Facile osservare come il principio di legalità sia già contenuto nel principio “uguale libertà, uguale responsabilità”. Notiamo infatti che i rappresentanti dello stato, ossia coloro che esercitano una quota del “potere statale” (come vedremo più avanti), dispongono di un grado maggiore libertà di prendere decisioni rispetto agli altri. A questo maggior grado di libertà deve corrispondere un uguale aumento del grado di responsabilità (del dovere di rispondere delle proprie azioni). Resta così assodato che nello stato di diritto nessuna persona esercita un potere, una libertà di decidere, che non sia regolato dalla Legge.

In ogni caso, (in base al concetto esposto sopra alla lettera C) lo stato di diritto detta norme per mezzo delle quali coloro che trasgrediscono le leggi vengono chiamati a rispondere e a riparare gli effetti dannosi della loro trasgressione. In particolare la Costituzione detta norme per mezzo delle quali siano cancellate dall’ordinamento (annullate) le norme dettate dallo Stato che, eventualmente (e per errore dell’organo statale che le ha emanate), siano in contrasto col principio "uguale libertà, uguale responsabilità".

Come si è detto sopra, lo Stato di diritto si auto-fonda, (e si auto-definisce) in riferimento alla propria COSTITUZIONE.

Il minimo comune etico


(Continua)