“Infatti ora certo non stiamo gareggiando perché io voglio risultino vincenti le mie affermazioni e tu le tue, ma credo noi due dobbiamo lottare insieme in favore della pura verità” Platone (Filebo)
Platone, se non ho capito male, ci dà questo consiglio. Quando si discute intorno a un argomento qualsiasi non dobbiamo proporci di far prevalere le nostre tesi su quelle degli altri interlocutori, ma dobbiamo prestare attenzione agli argomenti di tutti partecipanti alla discussione allo scopo di arrivare, tutti insieme, alla conoscenza di una verità. Platone, sempre se non ho capito male, è convinto che esista la verità oggettiva. Egli pensa che la verità a volte è assolutamente evidente, come nelle verità della matematica, a volte è invece difficile da conoscere a causa dei limiti delle affezioni dell’animo e dei difetti delle nostre capacità intellettive; ad es. nel campo della bontà delle scelte delle nostre azioni, tema questo del dialogo intitolato Filebo. Per la ricerca mediante la discussione, il dialogo, intorno a queste verità non evidenti Platone ci invita ad adottare il “metodo” di discussione sopra descritto. Per me questo metodo è valido. La verità, una volta trovata, è di tutti. Tutti “vincono” nella discussione quando una verità viene conosciuta.
Di questi tempi è difficile incontrare “dialoghi” che adottino il metodo su indicato. Le discussioni sui giornali, alla Tv, nei social quasi mai sono dialoghi. Sono quasi sempre monologhi autoreferenziali: ognuno espone una tesi e, lungi dal prendere in considerazioni tesi che espongano opinioni diverse, mostra disprezzo per chiunque non si dichiari completamente d’accordo. Questo metodo non ha nessuna utilità, non consente una ricerca obiettiva in nessun campo. Anzi provoca solo risse fra coloro che parlano e produce nella società un atteggiamento di tipo manicheo: ognuno si schiera da una parte che ritiene assolutamente giusta e considera chi non la pensa come lui un agente delle forze del male assoluto.
Chi scrive si permette di consigliare l’adozione del metodo su descritto dal grande filosofo. Cercare la verità oggettiva con pazienza, rispettando lo sforzo compiuto da qualsiasi altro nella ricerca della verità. Verità che spesso è difficile da conoscere. Gli interlocutori in qualsiasi discussione devono sentirsi cercatori di verità, riconoscersi reciprocamente la buona fede e collaborare per trovare la via che conduce al vero in tutte le materie. In materia di ricerca scientifica e anche in materia di rapporti umani.
Le considerazioni sopra svolte ci fanno venire in mente l’insegnamento che leggiamo nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII – di cui quest’anno ricorre il 60esimo anniversario della pubblicazione – nella ricerca della verità della fede e della morale valida nei rapporti fra i singoli, fra i gruppi sociali e fra i popoli.
“Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità.
Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno. Per cui chi in un particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non credono, o credono in modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio
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