venerdì 4 giugno 2021

Il vecchio che leggeva romanzi d'amore di Luis Sepulveda




“Fu invitato al generoso festino offerto dai vecchi quando decidevano che era arrivata l’ora di “andarsene”… aiutò a portarli fino a una capanna lontana per coprire i loro corpi con un dolcissimo miele di palma.” È la descrizione dell’incontro del protagonista con il “rito del morire” nella civiltà dei “shuar”, popolo di nativi della foresta Amazzonica.

È il primo romanzo di Luis Sepulveda. Ci parla di un’umanità sofferente che vive a ridosso e all’interno della foresta amazzonica dell’Ecuador.

Il protagonista, Antonio, è un “vecchio” sulla sessantina (in un’ambiente dove si muore mediamente prima dei cinquant’anni). Era vissuto in precedenza a San Luis, un villaggio della Sierra nel quale le sue condizioni, pur di estrema povertà, erano quasi sopportabili. Faceva il bracciante e si era sposato, secondo le usanze del luogo, a 15 anni con Dolores una ragazza della sua età. La vita degli sposi che si amavano teneramente era diventata dopo qualche anno impossibile a causa di un’assurda superstizione. Dolores non rimaneva incinta. Questo per gli abitanti del villaggio era un segno che la donna era preda del demonio. Antonio e Dolores prendono così la via dell’esilio. Tentano di diventare coloni nelle aree della foresta Amazzonica. Dopo un viaggio lungo e faticosissimo arrivano a El Idilio località nella quale vive meno di un centinaio di persone. Si costruiscono una capanna e tentano di avviare l’attività agricola su due ettari di terreno che, in base all’autorizzazione governativa, essi avevano il diritto di coltivare dopo averlo disboscato. Ma l’impresa è impossibile. Due persone sole, prive di strumenti meccanici, in mezzo a uragani furiosi, bestie feroci, nugoli di zanzare che con le loro punture provocano infezioni inguaribili sono destinate a soccombere in poche settimane.

In loro soccorso arrivano però i “shuar”, indios che vivono da sempre nella foresta, e della foresta conoscono tutti i segreti. Impietositi verso Antonio e Dolores, i shuar insegnarono loro come cacciare, come riconoscere i frutti commestibili, come ricavare un po’ di terreno coltivabile. Ciò non è sufficiente però per Dolores che, dopo un anno muore di malaria.

Antonio, pur sopraffatto dal dolore, resiste e inizia una nuova vita “integrandosi” nella civiltà dei shuar. Dice Sepùlveda: “pian piano dimenticò (l’odio per la foresta che gli aveva strappato la sua Dolores) sedotto da quei luoghi senza confini e senza padroni”.

Il nostro eroe trascorre la sua vita fino alla “vecchiaia” nella foresta partecipando alla vita degli indios diventando “uguale” a loro senza però poter diventare mai – come prescritto dalle leggi assolutamente inviolabili di quella comunità – “uno di loro”.

Antonio, da vecchio, ritorna quindi a El Idilio e si reintegra nella civiltà dei bianchi impegnandosi, per quanto gli sarà possibile, a difendere le ragioni dei shuar contro le prepotenze dei governi e degli avventurieri che vogliono distruggere la foresta.

Per sopportare le terribili sofferenze che gli vengono dalla vecchiaia, dalla solitudine, dai ricordi antichi e recenti Antonio troverà un “analgesico”: la lettura dei romanzi d’amore.

Con questo romanzo Sepulveda ci consegna un messaggio. Ci sono “valori, in civiltà che noi giudichiamo “primitive”, con i quali la nostra civiltà dominante farebbe bene a confrontarsi. Soprattutto sul tema del rapporto fra uomo e natura ma anche, più in generale, sul tema del senso della vita.

Curiosità  Il lettore italiano troverà qualche qualcosa di inaspettato nell’ambientazione del romanzo: accenni alla città di Venezia e al libro Cuore di Edmondo De Amicis.

 





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